Recensione di Il secondo cervello di Michael D. Gershon, Torino : UTET, 2012
Che Il secondo cervello sia una lettura consigliabile ai medici è indubbio. Che un moto di curiosità possa spingere il curioso della fisiologia a leggerlo è perfettamente comprensibile: non ho in mano l’originale, ma la traduzione di certo rende bene lo stile del classico saggio americano, che guida il lettore senza mai fare il passo più lungo della gamba, alternando la nozione a effetto all’approfondimento di matrice più eminentemente scientifica. Gershon, poi, è scienziato serissimo, e i fondamenti della sua ricerca non sono da mettere in discussione.
E’ forse il caso, tuttavia, di muovere qualche critica sistematica all’approccio del testo. Se l’evoluzione ha portato l’uomo a mantenere un cosiddetto secondo cervello (si tenga presente che il numero di neuroni presenti nel cervello è circa un migliaio di volte maggiore di quello che popola i visceri, mentre per le connessioni neurali il rapporto esplode a ordini di grandezza ben maggiori), ci sarà ben un motivo. L’essere umano sano non ha particolari pensieri riguardo alle proprie deiezioni, e fare filosofia non ha paragone con il controllare consistenza, colore e frequenza della propria cacca. Dunque, giova all’uomo e alla sua sopravvivenza tenere le funzioni separate.
L’autore afferma giustamente che nessun pensatore compie bene il proprio mestiere se ha turbe gastrointestinali. Cartesio, dice Gershon, ha potuto formulare il proprio cogito ergo sum perché il suo intestino era in ordine. Senza dubbio. Ma che dire dei reni? E’ arcinoto che una colica renale causa il dolore che avvicina di più l’essere maschile alle “gioie” del parto. Che avrebbe scritto Cartesio con una pietruzza calcarea bloccata nelle vie urinarie? E la protrusione discale, per non arrivare all’ernia, ad esempio in posizione L5-S1, ha forse minore nobiltà dolorifica? Chi è in grado di scrivere di filosofia con la schiena bloccata? Per non parlare del dolore ai denti, dei tagli alle mani, della tracheite, dell’asma da acari. Un laringospasmo sofferto dalla mia figlia minore a due anni di età mi ha preoccupato di più di quanto non mi potranno preoccupare tutte le stipsi della sua vita, siano esse causate da cicli ormonali muliebri, sia da stress della vita moderna.
Già, la vita moderna: lì, dicono gli psicologi, stanno molte cause dei nostri malesseri intestinali. Visto che l’autore conferma che il 20% degli americani soffre di disturbi funzionali dell’intestino, il resto forse lo fanno le catene di fast food. Più di tutto vale però lo stress, che disorienta il sistema nervoso enterico sconvolgendone il funzionamento normale. Di fronte a questa causa fanno sorridere figure come quella del signor Kellogg (quello dei cereali), propugnatore del clistere utile alla defecazione almeno ogni sei ore (non di più, altrimenti, siccome la cacca è sporca, tenendola nell’intestino si prendono le malattie) e di Alessia Marcuzzi, latrice delle virtù del Bifidus Actiregularis, il cui nome dovrebbe dare l’idea di un intestino orologiaio, ma mette ansia alla sola pronuncia (salvo il fatto che non esiste). Acquistano invece valenza scaramantica L’inno del corpo sciolto di Benigni, e la canzone di Carletto, liberatoria quant’altre mai pur non essendo chiaro che cosa faccia Carletto nel letto (atto grosso o atto piccolo?). Ad ogni modo, la vita ben ritmata mette a tacere qualsiasi voce di neurone intestinale.
Il testo di Gershon è vivace, documentatissimo e genuinamente scientifico: solamente, la sua lettura deve aprire prospettive, e non far chiudere il lettore in un integralismo enterico che provocherebbe i mali da cui invece ci si vuole difendere.