Recensione di Io uccido di Giorgio Faletti, Milano : Baldini&Castoldi, 2002
Qualche moto di incredulità accompagnò nel 2002 la comparsa del primo romanzo di Giorgio Faletti, che dopo il “Drive-In” si era già preso la soddisfazione di cantare a Sanremo e comporre canzoni per Mina, Milva e Fiordaliso.
Io uccido è originale a tratti e al tempo stesso già visto, spesso intenso e talvolta poco lucido, ma non perde mai la presa, con quel registro linguistico da sigaretta a un angolo della bocca che sa tanto di Sam Spade. Tanto, forse un po’ troppo.
Negli anni si è scoperto che i Led Zeppelin hanno completamente copiato Stairway to Heaven. Almeno lì vi era l’interpretazione.
Qui sono troppi i casi nei quali sembra di essere di fronte a una traduzione buona ma non ottima dall’inglese americano. Troppe le volte (e lo saranno ancora di più nel caso di Fuori da un evidente destino, per il quale addirittura il titolo fece alzare il sopracciglio dei critici più attenti) nelle quali il ricorso a riferimenti culturali americani sembra fuori luogo o mal reso in italiano, pur stante la presenza nella storia di un uomo dell’FBI a Montecarlo.
Pur con quel dubbi, Io uccido resta una lettura leggera, che senza troppi sofismi filologici resta un ottimo alleato di ombrellone.