Giudizio sui sei candidati premier

Visto che una breve ricerca su Internet non mi ha dato molta soddisfazione, provo a comparare i sei candidati delle elezioni politiche. L’idea è di giudicarli come se avessero sostenuto un esame scritto (in équipe) e orale, diciamo di politica economica, economia politica e diritto costituzionale. Mille caratteri per ciascuno basteranno.


Bersani Pierluigi, matricola lg 4706: sfoggia ardite perifrasi e metafore, che alle volte fanno perdere il filo del discorso, soprattutto quando si avventura in allegorie zoologiche. Spesso fumoso, fa sovente riferimenti al lavoro, ciò che non è negativo in sé, ma senza dire nulla di diverso da quanto si possa trovare in compendi per neofiti della materia. La prova scritta in équipe vede incongruenze, specie tra la posizione del Bersani, che vede Papa Giovanni XXIII come massima figura ascrivibile al socialismo progressista, e quella di Vendola Nicola, che in più parti dell’elaborato scrive “Voglio sposarmi”. Salvo che poi il Bersani cancella a penna queste parti. Non si dà credito a voci che vogliono che poco prima dell’orale abbia chiuso nello stanzino dei bidelli tale Renzi Matteo, che pare abbia preparato l’esame con lui. Secondo questa versione Renzi avrebbe messo in ombra il Bersani, condizionandone la votazione. Afferma di voler aprire una tintoria in caso di votazione negativa.

Berlusconi Silvio, tessera… pardon, matricola 1816: dà l’esame per la quinta o sesta volta, non avendo mai convinto la commissione in precedenza. Tenta prima di dare l’esame per procura, delegando tale Alfano Angelino, poi ritornando sulle proprie posizioni. Non è chiaro se sia associabile al Berlusconi la presenza di una mazzetta di banconote da 100 euro in prossimità della cattedra poco prima del suo esame orale. Sgombrata l’aula da una signorina discinta che lo accompagnava, il suo orale si è composto per la maggior parte di barzellette, apprezzamenti alla componente femminile della commissione, invettive di portata generica (“comunisti!”, “che puzza!”) e complimenti a sé stesso. Lo scritto di équipe pare essere stato redatto dal solo esaminando, e non vi è prova che egli non ne sia l’autore, sebbene malelingue parlino di un gruppo di tutor CEPU come reale estensore del documento. Il candidato fa la propria uscita promettendo (senza titolo) di poter abolire le tasse universitarie.

Monti Mario, matricola… è prof.: purtroppo la commissione, causa i molti candidati esaminati in precedenza, perde lucidità di fronte all’esposizione del Monti, e ciò, va detto, anche in ragione dell’esposizione monotòna del candidato. A sostegno della propria posizione, il Monti parla spesso del proprio nipote, con il quale gioca molto, a suo dire. Il nipote, ammesso in aula, stenta tuttavia a riconoscerlo (va detto che al momento era ancora presente la conoscente del Berlusconi, poi fatta uscire). Sia nello scritto sia nell’esposizione orale è rigoroso, malgrado l’accento tedesco renda qualche frase difficile da comprendere. A suo vantaggio l’aver condotto le esercitazioni in aula durante il corso di preparazione; tuttavia, se la teoria gli è ben nota, l’applicazione pratica di quella non sembra essere consequenziale. Non gli giova l’entrata nel gruppo di lavoro di Casini Pierferdinando e Fini Gianfranco, sostenitori di posizioni considerate accademicamente non valide ormai da anni.

Grillo Giuseppe, matricola *****: di certo non parte bene, chiedendo di sostenere l’esame via Skype, peraltro asserendo che l’esame in situ ne abbasserebbe la votazione. Tuttavia, gli è concessa deroga quando si articola in una spiegazione dettagliata dell’impossibilità di raggiungere la sede d’esame con una produzione nulla di anidride carbonica. Il turpiloquio non è ammesso in sede d’esame, ma il Grillo ne abbonda, urbi et orbi; la commissione ha il suo maggior turbamento quando il candidato chiede ai componenti di ridurre del 50% le proprie prebende. L’ombra – la notazione è da considerarsi letteralmente – maggiore sulla prova del Grillo è la probabile presenza di una figura capelluta (più del Grillo medesimo) alle sue spalle, che parrebbe suggerire molte delle risposte. Visto l’isolamento del candidato non è stato tuttavia possibile provare tale sospetto. Egli sostiene che non utilizzerà i crediti formativi acquisiti, lasciandoli al proprio gruppo di lavoro (primo caso del genere).

Ingroia Antonio, matricola agli atti: la giustificazione “ho dovuto studiare molto” non pare essere sufficiente a scusare il profondo sonno in cui è caduto il candidato in aula nei momenti precedenti l’esame. Chiamato ad alzarsi dal banco, scambia “banco” con “banca” e va su tutte le furie. Dopo il difficile risveglio, sostiene di aver già risposto a tutte le domande possibili sul proprio sito Web, consigliandone la consultazione alla commissione. Se proprio deve rispondere, che almeno gli si dia tempo di finire il cappuccino. Analizza poi alcuni temi in modo serio e completo, dimenticandone altri in modo molto evidente e grave. Propone tesi ardite, quasi fantasiose, ma sostiene di non aver mai letto Tolkien. Pare perdere fermezza quando considera l’idea di emettere ordine di comparizione per la commissione tutta, tornando sui propri passi quando si rende conto di averla davanti. Uscendo dall’aula unisce i polsi di fronte al Berlusconi, che di rimando gli scaglia contro tal Bonaiuti P.

Giannino Oscar, matricola… ehm, pare non averla più, a oggi: il candidato si presenta con un abbigliamento a dir poco fantasioso, e qualcuno in commissione si chiede se non sia il caso di fornirgli apposito grembiulino. Parte tuttavia bene, con una prova scritta ben articolata (anche grazie al suo qualificato gruppo di lavoro), su tutto il programma. Ne sa quanto basta, e si vede, e non si scompone nemmeno quando gli viene chiesto uno yodel. Si definisce a piè sospinto liberista, e guardando le sue scarpe bicolore nessuno in commissione nutre dubbio alcuno. Quando però si verifica lo statino per la registrazione, il Giannino ne produce uno della Libera Università dei Romulani. Si profonde in scuse, accusando un precario assente, ma il fatto è grave. A quel punto il candidato prende la decisione ferale: si autosospende da capo del proprio gruppo, peccato che sottoponga il libretto per la registrazione. Anzi: fa giurin giuretto che non capiterà più, ma chiede un paio di calzini a rigoni.

Proporzione #1: Nicola Savino

Proporzione #1: Nicola Savino sta al bravo presentatore come il Mago Otelma sta a David Copperfield

Non posso dire chi, ma Savino mi ricorda un vecchio compagno di scuola. Fisicamente ingiudicabile, non dà fiducia, con quell’espressione a metà tra il gatto e la volpe. Pensate a qualsiasi altro presentatore (ok, quasi qualsiasi; uno di loro sarà oggetto di un’altra proporzione), e dite se non vi ispira più fiducia, se non vi fa ridere un po’ di più, se non vi dà un po’ più da pensare. Non arrivate alla familiarità di Corrado, non misuratelo con la cultura baudesca, non affiancatelo alla pur posticcia rigorosità di Amadeus (suo ex-compagno di emittente): prendete l’altezza di Chiambretti, sommatela alla verve di Braida, finendo con il timbro virile di DiGei Angelo e otterrete la summa del nostro.
La sua capacità di adeguarsi al Linus-pensiero ha dell’innato, ed è facilitato nell’operazione dalla prossimità al dee-jay-maratoneta, la lontananza dal quale faciliterebbe la libertà di ragionamento, forse ancor più perigliosa.
Appare in una réclame con Mara Maionchi, dalla quale si differenzia per essere quello acido tra i due.

Batman ritorna alla televisione

L’accumulazione di tecnologia nella trilogia – per ora – de Il cavaliere oscuro, iniziata nel 2005 con Batman Begins, proseguita nel 2008 con l’omonimo Il cavaliere oscuro e da poco perfezionatasi con Il cavaliere oscuro – Il ritorno assomiglia a quella cui eravamo abituati con i film di 007. Là era Q a dotare James Bond degli ultimi ritrovati; qui, in modo smaccatamente simile, è Lucius Fox (interpretato da Morgan Freeman) a curarsi delle attrezzature dell’uomo pipistrello, L’elenco è copioso: la Batwing”, tagliaerba ingrandito e modificato per renderlo atto al volo; il “Batpod”, motocicletta che invece di sgommare ruota verticalmente di 90 gradi l’asse di rotazione delle ruote; i “Tumbler” (gli automezzi-autoblinde), che essendo apparsi già nel primo film, di nuovo ormai hanno solo la livrea mimetica, in quanto si deve giustificare anche cromaticamente il loro uso da parte dei nemici di Batman, gli accoliti di Bane; il fucile a impulsi elettromagnetici (o almeno, una cosa che gli assomiglia), peraltro dotato di elementi luminosi che fanno pensare a una tecnologia simile a quella delle valvole termoioniche. Il resto sono specie di shiruken a forma di pipistrello, verricelli fissati alla cintura, la corazza in kevlar e gli occhiali per la vista notturna, mentre l’oggetto del contendere è un reattore capace di produrre la fusione nucleare, peraltro tracciato con ordinari apparati GPS.

Così, i “regalini” di Q a 007 di quarant’anni fa sono ben più immaginifici, poiché mostravano funzionalità ancora non presenti sul mercato, e in qualche caso nemmeno disponibili ai più moderni degli eserciti. I laser, gli esplosivi miniaturizzati, gli orologi con i verricelli, i dentifrici mortali… Sean Connery e Roger Moore hanno avuto delle premières di ben altro rango.
Se però Batman non eccelle per precognizioni tecnologiche, vi è un manufatto ben presente nel film, che addirittura acquista rilevanza topica, e che dà un certo tono retrò alla vicenda: il televisore. E’ attraverso il televisore che Bruce Wayne apprende, dalla prigione-pozzo nella quale è stato gettato, dello scempio che il suo nemico Bane sta compiendo di Gotham City; è da un telegiornale che il miliardario Daggett, supporter dello stesso criminale, sa del ritorno di Batman. E quando il commissario Gordon deve cercare di diffondere notizie vitali per la città, non le “twitta”, ma cerca una telecamera (sic!).
Possono esservi ragioni commerciali dietro tale scelta; certe azioni sono forse troppo identificabili e renderebbero pubblicità (forse gratuita) a uno dei pochi grandi social network; tuttavia, che il televisore debba ancora essere utilizzato come espediente scenico nel ruolo di ciò che per definizione dà le notizie più importanti è sintomatico di quanto, pur con la crescita di Internet, pur con l’avvento dell’IoT (Internet of Things o Internet delle Cose), e in generale con la diffusione dell’informazione su supporti sempre più diffusi e diversificati, la fiducia nella selezione dell’informazione, al postutto, sia data alle convenzionali redazioni, e non già alla capacità critica più facilmente impiegabile (poi i risultati non sono assicurati, per carità) nella fruizione della Rete.
Questo dà la misura di quanto una “primavera americana”, a oggi, sarebbe largamente inattuabile. A meno che gli statunitensi non prendano lezioni di comunicazione dagli egiziani.

fare le foto con l’iPad…

…è quasi come, nel 1995, prendere un televisore (a tubo catodico, ovvio) e collegarlo, a mezzo di un supporto rigido, con una macchina Polaroid, la cui fotografia sia poi inviata via fax a una stazione emittente, che la mostri in una trasmissione e sulla quale sia sintonizzato il televisore. La cosa fa molto steampunk, ma se questa è un’esagerazione, serve a capire come si vada nettamente contro la tendenziale riduzione delle dimensioni degli oggetti di uso quotidiano, specie quelli di natura elettronico-informatica.
Non che sia per tutti così: i telefoni cellulari hanno visto un aumento delle dimensioni degli schermi a causa di un mutamento nel loro uso; qui però siamo al parossismo, o così pare.
Se poi all’iPad aggiungiamo la custodia, la gestione fisica del dispositivo diventa sufficientemente ardua. Chi acquisterebbe mai una macchina fotografica di simili dimensioni? O meglio, chi l’avrebbe fatto dopo, tanto per dire, la Seconda guerra mondiale? Non si va contro alcuna norma di codice civile o penale (almeno nella maggior parte degli Stati), ma si sconfina nel campo del ridicolo.
Senza contare che poi, con i tanto popolari sistemi cloud, peraltro bandiera di questi tempi della Apple, è sempre meno importante che il dispositivo che scatta la foto sia lo stesso all’interno del quale rimane registrata.
Si torna a considerazioni precedenti (esposte qui e qui), che portano a qualche conclusione. Anzitutto, il tablet non è un “oggetto naturale”, intendendo con questo che la sua struttura non è accettata come tale dall’uso comune consolidato da qualche decennio di informatizzazione. Un possibile parallelo è quello con le biciclette dalle grandi ruote anteriori (le cosiddette “Gran Bi”), diffuse sino attorno al 1880: l’uso fece prevalere un’altra forma, più comoda, più sicura, oltre che tecnologicamente più avanzata, ed è la bicicletta che ancora oggi usiamo noi.
Ma si diceva dell’iPad: lo trasformiamo in un notebook aggiungendogli tastiere, sostegni e mouse; lo usiamo come e-book reader, funzione peraltro svolta in modo migliore da altri dispositivi; per dargli dignità d’uso, tristemente, ci facciamo le foto, e magari lo usiamo come cornice digitale. Immagini come quella sopra saranno viste tra meno di vent’anni nel modo in cui noi oggi vediamo quella sotto. Il tablet è morto: viva il tablet!

globalizzazione del piffero

Siccome non lo si può comprare dall’Italia, viaggerà un po’ il Kindle Paperwhite che ho giusto acquistato da Amazon (punto com, ça va sans dire). Prima tratta: dai magazzini di Jeff Bezos a un posto vicino all’aeroporto JFK, tale Springfield Gardens, che i giardini li ha persi, da quando, subito dopo la Seconda guerra mondiale, decisero di costruire un aeroporto su quello che era il terreno del campo da golf di Idlewild. Oggi nel block giusto davanti allo spedizioniere che riceverà il Kindle c’è una prigione, la Queens Detection Facility, proprio in mezzo ad altri corrieri – sono pazzi questi americani. Il solerte spedizioniere compirà una scelta oculata tra nave ed aereo (il secondo costa grossomodo dieci volte più della prima) per far compiere al dispositivo la seconda tratta, che lo condurrà negli Emirati Arabi Uniti, più precisamente Abu Dhabi. Lì, giungerà, nella massima legalità – non è ironico – nelle mani di un italiano, con il quale transiterà presumibilmente a Fiumicino (terza tratta), e poi in Umbria, regione di origine del pilota (quarta tratta). Le Poste Italiane copriranno la quinta e ultima tratta. Per via di tutto ciò il Kindle Paperwhite, in uscita il 1^ ottobre, potrebbe essere a mie mani in tre settimane.
Ora, siccome viviamo in un mondo reale, viene da chiedersi: quale sarà la reale data di arrivo? Quale il collo di bottiglia? Per chi non si intende né di informatica né di enologia, chi farà ritardo? Amazon? Manco da pensare. Annunciano la spedizione il 22 ottobre, e i 5-8 giorni stimati con la consegna gratuita con il “FREE Super Saver Shipping” (ok, sono un pezzentone, ma che sono tre giorni di più in un mese?) collocano l’arrivo del dispositivo alla prima destinazione, Springfield Gardens, NY, 150th Avenue (può essere una avenue lunga circa 400 metri?), tra il 29 ottobre e il 1^ novembre. Secondo me arriverà alla mezzanotte del 30 ottobre. Ci metto cinque euro dei miei che lo spedizioniere dello stato di New York, a quel punto, salvo improbabili riots nell’adiacente edificio correzionale, farà del proprio meglio per liberarsi del pacco nel minore tempo possibile. Diamogli una decina di giorni, e l’incomodo varcherà la frontiera araba. Rimarrebbe la dogana degli Emirati, che notoriamente è anche più solerte dello spedizioniere, salvo riservarsi tempi geologici per alcune procedure. Poniamo un paio di settimane, basteranno, no?
Arriviamo quindi al nostro amico pilota, che impiegherà un tempo non prevedibile con certezza, ma una quindicina di giorni dovrebbero bastare, almeno spero, perché rimetta piede sul patrio suolo. Lì dovrà recarsi munito di pazienza di Giobbe in un ufficio postale, e spedire (tanto il pacco ce l’ha già, è quello di Amazon) la merce. Buon Natale.
Tutto ciò perché Amazon deve smaltire i propri Kindle della serie precedente nella periferia dell’Impero (che saremmo noi, questa volta), alla faccia dell’apparentemente imprescindibile globalizzazione. Siamo invece ancora, e lo è Amazon come noi, fortemente provinciali, contestuali, locali, rionali, xenofobi, nazionalisti, leghisti, e non è detto che alcune di queste caratteristiche, principalmente concentrate nella prima parte dell’elenco, siano da disprezzare.

motoriduttori, lampade al neon e gatti

Gli elenchi non coerenti mi piacciono, poco da fare. Servono per dare dei titoli che almeno incuriosiscano. In un delirio autocitazionista potrei ricordare “Orazioni, permutazioni e convinzioni“, “Mele, finestre e nuvole” o “Pascaline, perottine e programmi“. L’accostamento di termini, oggetti, enti, idee, parole insomma, che non hanno reciprocamente nulla a che fare, almeno in media, è intrigante. Se non è così per chi legge, mi scuso, ma si sappia che tali elenchi hanno estensori nobilissimi, primo tra tutti Jorge Luis Borges, che nel suo L’idioma analitico di John Wilkins parla di un leggendario Emporio celeste di conoscimenti benevoli, sorta di enciclopedia cinese, secondo il quale “gli animali si dividono in (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.” La stessa citazione bibliografica è lista ardita, se si pensa che l’elenco si trova in Jorge Luis Borges, L’idioma analitico di John Wilkins, raccolta Altre inquisizioni, in Tutte le opere, Volume I, Milano : Mondadori, 1984, pp. 1004-1005.
A volte gli vengono da soli, dopo una veloce ispezione dello scritto che devono titolare; altre volte sono frutto di una certa fatica. Oggi tuttavia, per tutti gli amanti degli elenchi incoerenti, l’onnipresente, onnisciente e ineffabile Google fornisce uno strumento impareggiabile per la realizzazione di queste liste.
Selezionando la ricerca delle immagini (images.google.it) si nota che è presentata a fianco della barra di ricerca l’icona di una macchina fotografica, cliccando sulla quale si può fornire al motore di ricerca un’immagine rappresentativa di ciò che si va cercando. L’utilità di questo strumento sta anzitutto nella possibilità di vincere concorsi quali “l’oggetto misterioso”, ma vi sono anche altre applicazioni.

Nel mio caso, mi trovavo a dover capire quale fosse la denominazione (ed eventualmente il modello) di un particolare meccanico-pneumatico del quale avevo solo la fotografia (sono fatti di chi scrive le motivazioni che lo portano a dilettarsi in questo modo). Ben lieto ho fornito al Motore Immobile la mia immagine; il risultato è quello esposto qui sotto. Borges era un dilettante.

i premi redenti

Una volta c’era la qualità totale, poi siamo diventati confidenti in quello che dicevamo. Il tutto rimaneva però in un ambito laico e terricolo. La qualità è sì totale, con buona pace del costrutto inglese che poco osa, limitando la dignità della piena totalità alla sola gestione (total quality management è la limitata locuzione di partenza). E la fiducia è amplificata, se si fonde lo stretto significato di confidence con l’ammiccante caratteristica della frequentazione. I confini della fabbrica o dell’ufficio non sono tuttavia travalicati, e non è soddisfatto l’anelito all’infinito che è proprio dell’uomo, da quando ha avuto coscienza di sé.
Che cosa scegliere dunque per elevare il mondo industriale (i post-industriali sono insensibili, non capirebbero) dell’uomo ad astra? Come connettere, in una corrispondenza platonica, o lulliana, le terrene specie con le sfere celesti? Il Basso con l’Alto? Il materiale con l’etereo?
Esistono in terra sostanze che possono servire a questo bisogno, fortunatamente. Sostanze che derivano dall’infimo, dallo ctonio, e che per sublimazioni successive, frazionamenti, distillazioni e azione del fuoco arrivano all’aereo, limpidissimo, puro, immateriale, immacolato e trasparente.
E qualche illuminato le pone a disposizione di tutti, o meglio di coloro che sanno leggere i messaggi che pur visibili sono di significazione recondita. Perché questo è aiutare l’umana specie: consentire a tutti di innalzarsi, con poca spesa, in ogni città, a piccola distanza dalla propria abitazione.
Chi sa veramente leggere, compitando con attenzione, pur senza destrezza nell’arte combinatoria, capirà che la redenzione del premio è specchio della Redenzione. Possiamo affrancare i nostri premi dalla loro realtà terrena, sublimarli, renderli intangibili nella loro perfezione.
Come tutto quanto è in terra, però, è fallace, temporaneo, ed è solo la ripetizione dell’opera che può riportare nello stato di grazia.
A qualcuno servono 2 euro di sconto alla Erg? Cedo il coupon a 1 euro.

il comfort sbagliato

Per 20 euro sui voli internazionale e 50 su quelli intercontinentali Alitalia offre ai propri passeggeri più spazio per le gambe. E reclamizza sin dalla homepage del proprio sito questa possibilità. Nella pagina interna chiarisce poi i termini dell’offerta, ma in entrambe le pagine riporta in modo piuttosto evidente la dizione “confort”, che è errore ortografico.
Mal comune mezzo gaudio, si dice, e in questo caso è comunissimo, se i risultati restituiti dal maggiore motore di ricerca mondiale sono 170 milioni per “confort” contro gli 881 di “comfort”. Un buon 16% sul totale, uno su sei.
Forse c’è un’altra pecca, tuttavia, non così visibile. Le più diffuse definizioni operative di comfort arrivano dall’astronautica, e per linea genealogica – e altimetrica – discendente dall’aeronautica (chissà se questa parola appare scritta correttamente sul sito Alitalia? E chissà che cosa capita a “meteorologia”?). Secondo quelle, il comfort è principalmente definito da rapporti tra temperatura e umidità relativa, espressi da curve. Occorreva parametrizzare la vivibilità degli abitacoli dove gli astronauti si trovavano a sopportare condizioni estreme in fatto sia di temperatura – l’aria contro la fusoliera a qualche migliaio di chilometri l’ora scalda terribilmente – sia di umidità. Il problema dell’umidità a bordo delle stazioni orbitanti e delle navette era già stato affrontato in un nostro post precedente, e ha causato dei morti tra gli astronauti per enfisema polmonare.
E’ pur vero che dopo un volo dalle 4 ore in su gambe e schiena sono quelle a risentirne in modo più evidente, ma gli effetti peggiori si hanno per via del ricircolo dell’aria ormai esausta, delle temperature troppo basse (garantite su voli da e per gli USA e Paesi arabi) o troppo alte, o degli eccessivi livelli di umidità. Bene ha fatto quindi Boeing, con l’uscita del suo 787 Dreamliner, a evidenziare le migliorie nel comfort (aria più secca e pressione equiparabile a quella presente a una quota di 1800 metri). All’insegna del pagare tutti un po’ di più per avere tutti un viaggio più confortevole.

Genealogia delle macchine che contano – 01

Inizio a raccogliere qui qualche spunto per la compilazione di una genealogia delle macchine da calcolo, dalla Seconda guerra mondiale in poi. Questa è la prima puntata. Ne seguiranno altre, in apparente ordine casuale. L’apparenza spesso non inganna.
Con questa soluzione, proposta dall’ottimo Kickstarter, e chiamata Brydge (vorrei conoscere il tasso alcolemico del responsabile marketing che ha accettato questo nome, soprattutto in tempi di Internet), come grazie a molte altre, è possibile trasformare un iPad in una codsa simile a un pc. Secondo quanto riportato su Apple HD Blog,
“E’ realizzato in alluminio aerospaziale ed è stato progettato per adattarsi insieme al tablet in modo tale che sembrino due parti dello stesso dispositivo”.
Proprio non lo vogliamo, questo tablet. Ci giriamo attorno, ma come Montanelli conosceva bene il potere impalpabile della pressione dei tasti sulla sua “Lettera 22”, così noi siamo gutebnberghianamente legati alla corrispondenza tra gesto meccanico (si badi, diverso dal touch) e comparsa di segnale alfanumerico sul supporto di visualizzazione, carta o schermo che sia.

l’iPad, il riscaldamento globale e l’entropia

Prima o poi qualcuno farà il calcolo (non ne ho voglia) dell’effetto generato dalle maggiori temperature sviluppate dall’iPad 3 sul global warming. Ma prima ancora, non avevo mai percepito un tale interesse nei confronti del calore generato da un processore. Il sito olandese Tweakers parla di un aumento da 28,3 (temperatura di lavoro dell’iPad 2) a 33,6 gradi (Celsius, ça va sans dire) della nuova versione del dispositivo prodotto dalla Apple.
Colpito da tale sostanza numerica, svolgo alcune riflessioni:
– l’iPad potrebbe utilmente svolgere funzioni di riscaldamento casalingo (cosa che dà il là a una possibile lista delle “cose che non puoi fare con un quotidiano ma con l”iPad sì”, dopo le “cose che non puoi fare con l’iPad ma con un quotidiano sì“);
– mettere ordine nelle cose che ci circondano, sia che ciò avvenga ritirando abiti in un armadio, dividendo pietruzze per colore, usando un calcolatore per scrivere un blog o un tablet per organizzare dei segnali radio in notizie quotidiane, significa combattere (localmente) l’entropia. Poiché però questa simpatica grandezza deve sempre aumentare allorché spostiamo il nostro punto di osservazione da locale a globale, ecco che avere una maggiore potenza di calcolo, capace quindi di fare più ordine attorno a noi, significa che da qualche parte ci sarà maggiore disordine. E, a prescindere dal disordine che può essersi creato durante la costruzione di un iPad (sul quale non mi dilungo molto, ma che è commisurato alla quantità di CO2 prodotta), maniera preferenziale per esprimersi da parte del disordine è il calore. Quindi, in assenza di salti tecnologici particolari (come potrà essere, ad esempio, il calcolatore quantistico), a maggior potenza di calcolo corrisponde maggior calore emesso dai circuiti per effetto Joule;
– secondo una sensazione che dovrei verificare con un termometro (ma non credo che infilerò mai un termometro a mercurio in qualche orifizio del mio notebook, vedasi una presa RJ-45), la temperatura di 33,6 gradi è comunque inferiore a quella generata da un laptop di uso comune;
– risultato di tutte queste elucubrazioni, con buona probabilità, è solo un piccolo contributo all’entropia del nostro pianeta; un sano ozio sarebbe forse stato più proficuo.