Una bella storia

Il Paradiso per davvero

di Todd Burpo

Recensione di Il Paradiso per davvero di Todd Burpo, Milano : Rizzoli, 2013

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Come non credere a un bambino di quattro anni? Come non commuoversi di fronte a un simile racconto? Come mettere in dubbio la parola di un innocente? D’accordo.
Se il racconto serve di conforto, di aiuto, tanto meglio. Ma.
Il bimbo è figlio di un pastore protestante, cita canti di salmi, sta in braccio a Gesù come fosse Santa Claus; insomma, il suo immaginario è pienamente rispondente agli stimoli che riceve, come giusto che sia. E magari vuole fare bella figura con i genitori, per essere meglio della sorellina. Quindi parla delle cose che sente da papà durante i sermoni e in casa. Oppure ha veramente vissuto un’esperienza extracorporea.
Una stella perché ci devono convincere della verità del tutto pretendendo che il bimbo non abbia mai sentito della sorellina morta, e perché c’è qualcuno che su queste cose guadagna denaro.

Profumo di corbezzolo

Da qui a cent’anni

di Anna Melis

Recensione di Da qui a cent’anni di Anna Melis, Milano : Sperling & Kupfer, 2012

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Questo libro ha due difetti: il titolo, che non rende con precisione l’augurio di lunga vita che in Sardegna si fa a qualcuno (è semplicemente “a cent’anni”), e la bravura scrittoria di Anna Melis, che a volte è più forte della storia che scrive. All’ordito dell’italiano Melis incrocia parole ed elementi sintattici del dialetto; il tutto con un’attenzione agli ambienti, alle atmosfere, ai rapporti tra persone, che dà gran vividezza al testo. Ancora, il testo fa immergere nell’isola e nella sua natura: pare di vedere il fiore di cardo, di annusare il corbezzolo, di sentire le campanelle del gregge. Una bella scoperta, per me.

Non siete Umberto Eco (era: “non siete Proust”)

Tertius Decimus: Il tredicesimo apostolo

di Valentina Lippi Bruni

Recensione di Il tredicesimo apostolo di Valentina Lippi Bruni, Milano : Giunti, 2014

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Incuriosito dalle recensioni positive, ho scaricato l’estratto del libro sul mio Kindle. Ne ho avuto più che a sufficienza per scartare l’autrice da qualsiasi futura opzione d’acquisto. Maiuscole in abbondanza e soprattutto dove non servono (gli ordini monastici si scrivono in minuscolo, almeno gli aggettivi); errori ortografici (“Abbazziale” si rifiuta di scriverlo anche il correttore ortografico del mio smartphone cinese); contestualizzazioni storiche traballanti: il campionario è gonfio. Le aggettivazioni sono il meglio: la madre è “dolce e premurosa”, e va bene, le formiche sono “industriose”, d’accordo, ma le guance dovevano per forza essere “paffute”, la monaca “trepidante” e il lenzuolo “candido”?
Leggo che l’autrice sta avendo fortuna negli Stati Uniti. I traduttori fanno miracoli.

Probabilità, centesimi e taxi

La settimana scorsa ho preso il taxi per l’aeroporto. All’arrivo, ho pagato il tassista, passandogli 32 euro in contanti, a fronte dei 31 e mezzo richiesti. Gli ho chiesto la ricevuta, ricevuta la quale ho fatto per uscire, mentre lui era alla ricerca del resto. Gli ho detto che andava bene così, e lui mi ha ringraziato, senza molte cerimonie, ma con l’aria di quello al quale era capitata una cosa incredibile. A conti fatti, un 1,6% di mancia, che suonava strano al tassista.Poi ho pensato al possibile motivo del suo stupore, e credo di ritrovarlo nel fatto che chi chiede il giustificativo del pagamento lo fa perché gli verrà rimborsato dal datore di lavoro, o lo scaricherà come spesa. Quindi, non è incentivato a dare mance, perché sono al di fuori del rimborso. Dando mance si passa da una spesa zero a “qualcosa”, con un aumento percentuale della spesa pari a infinito. Da qui lo scarsissimo incentivo a farlo, pur a fronte di un servizio ben prestato.Chi prende il taxi per proprio conto, invece, se arrotonda per lasciare una piccola mancia percepisce una variazione minima di spesa, giusto di qualche punto percentuale. Quindi non si fa problemi a farlo.

Questo è un esempio di come a volte i conti (e le probabilità) possano dare spiegazioni a fatti apparentemente incomprensibili.

A proposito di un taxi, penso al caso spiegato da Daniel Kahneman nel suo Pensieri lenti e veloci, questa volta non in riferimento alla tariffa. L’esempio portato dallo psicologo israeliano analizza l’assenza di un legame causale tra la probabilità di base e l’evento stimato. Eccolo.

Un taxi è coinvolto in un incidente notturno con omissione di soccorso. In città ci sono solo due compagnie di taxi: le macchine di una sono verdi, quelle dell’altra sono blu. Sappiamo che:

– l’85% dei taxi è verde e il 15% è blu;
– un testimone asserisce che il taxi coinvolto nell’incidente è blu;
– il testimone compie un’identificazione corretta nell’80% dei casi, scorretta nel restante 20% dei casi.

Qual è la probabilità che il taxi coinvolto nell’incidente sia effettivamente blu?

Di primo impatto si tende a pensare che la probabilità sia dell’80%. Ma non è per nulla così.

Per calcolare correttamente questa probabilità si deve applicare il teorema di Bayes. E dobbiamo considerare due eventi:

E1: probabilità che il taxi coinvolto nell’incidente sia blu;
E2: probabilità che il taxi coinvolto nell’incidente sia verde.

P(E1) = 15% = 0,15
P(E2) = 85% = 0,85

I è l’evento per il quale un taxi è stato coinvolto in un incidente.

P(I|E1) = probabilità dell’evento I, “taxi coinvolto in un incidente”, quando è vera E1 “il taxi coinvolto è blu” = 0,80

P(I|E2) = probabilità dell’evento I, “taxi coinvolto in un incidente”, quando è vera E2 “il taxi coinvolto è verde” = 0,20

la formula del teorema di Bayes è la seguente:

P(E1|I) = P(I|E1) x P(E1) / [P(I|E1) x P(E1) + P(I|E2) x P(E2)] = 0,8 x 0,15 / [0,8 x 0,15 + 0,2 x 0,85] =

Quindi, la probabilità “avvertita” è praticamente doppia rispetto a quella “vera”.

Il problema cambia se si inserisce un nesso casuale negli eventi. Mi spiego meglio. Se nel caso dell’incidente si modificano i dati di partenza imponendo che le due compagnie di taxi abbiano lo stesso numero di automobili, ma nell’85% degli incidenti notturni sono coinvolti i taxi verdi e nel restante 15% i taxi blu, intuiamo sin da subito che vi è uno sbilanciamento verso la probabilità che il taxi coinvolto questa volta sia verde. Ma anche in questo caso non si raggiunge l’80% dei casi.

Riproponiamo il problema modificato. Sappiamo che:

– il 50% dei taxi è verde e il 50% è blu;
– nell’85% dei casi gli incidenti notturni coinvolgono taxi verdi, nel restante 15% sono i taxi blu a essere coinvolti;
– un testimone asserisce che il taxi coinvolto nell’incidente è blu;
– il testimone compie un’identificazione corretta nell’80% dei casi, scorretta nel restante 20% dei casi.

Qual è la probabilità che il taxi coinvolto nell’incidente sia effettivamente blu?
Sottoponendo il problema a panel di studenti, si nota come questi siano portati a concludere che vi sia relazione causale tra il colore del taxi e l’incidenza degli incidenti. In media essi stimano che la probabilità che l’incidente sia stato causato da un taxi blu sia attorno al 60%.

Ovviamente mi sono ben guardato di parlare al tassista di questi calcoli un po’ strani, anche perché parlano di incidenti. Ma sono sicuro che sarebbe convenuto sul fatto che anzitutto sarebbe stata necessaria una verifica dell’attendibilità del testimone.

La grande bellezza e l’urlo delle maiuscole inutili

Fateci caso. Appaiono negli annunci sponsorizzati su Facebook, nelle pubblicità, nei post condivisi da amici, nei libri di PNL, nelle presentazioni ai corsi, nelle biografie berlusconiane. Sono dappertutto. Sono le Maiuscole Inutili.
Facciamo un passo indietro. La maiuscola non esiste in greco e latino, nel senso che tutto è scritto in caratteri capitali (per l’appunto, maiuscoli), le parole sono divise da puntini più·o·meno·in·questo·modo e leggere non è certo operazione leggera come per noi oggi.
Durante il Medioevo i copisti, anche per giustificare il prezzo dei testi loro commissionati, iniziano a miniare, ossia a creare bellissime decorazioni attorno alle lettere iniziali di pagina. Nessun significato particolare, solo gradevolezza estetica. Ne vengono fuori opere stupende. Maiuscole “ordinarie” sono poste all’inizio di periodo, nei titoli e per designare i nomi propri.
Poi arriva Lutero, con la sua grande spallata all’Occidente. Tutti sono frastornati, le certezze vacillano, e la costruzione o la ricostruzione degli ideali impone certezza, almeno ostentata. Se l’architettura dispone già da qualche secolo del pulpito per sostenere la parola detta, la parola scritta si dota della maiuscola. Iniziano i Tedeschi (e i Danesi, pare), e gli altri vanno loro dietro. E’ il processo di entificazione, per il quale un concetto diventa Ente Concreto, distinto dagli enti generici.
Siamo nel Barocco: regna l’allegoria, l’interpretazione non univoca, non lineare, che per darsi forza deve essere urlata, o quantomeno declamata a gran voce. E la maiuscola è un perfetto mezzo per questo fine. Come ricorda qualcuno, oltre a farsi scrivere i titoli dalla Wertmüller, i letterati barocchi abbondavano in lettere capitali.
Poi la mania ci passa, mentre rimane ai Tedeschi (e ai Danesi). Ma come un fiume carsico, ogni tanto ritorna, fino a oggi.
Lasciamo perdere l’epoca fascista: là è tutto maiuscolo. Granitico, letteralmente. Ma ci dà un’idea di quanto serva il modo in cui si scrive per convincere.
E passi per le minuzie di oggi: “residente in Via Roma”, “stipulato il 12 Febbraio”, “il Vangelo di San Giovanni” (qui c’è il tranellino), “un magnifico Dolcetto”. A me un signore in Francia corresse la scrittura di “Deuxième (o “Seconde”, non ricordo) Guerre Mondiale” asserendo che l’idiotisme non voleva la maiuscola su mondiale. Due su tre, dai. Tra l’altro, capii anche che non mi stava dando dell’idiota, bontà sua.
Ma non se ne può più di Formazione Energetica, di Via dell’Uomo, di Festa dell’Ostara (altrimenti parliamo di Primavera, ma poi il Botticelli mi si adonta), di Casa, Vite, Rinascite, Libertà, Amore e Amori, Unione, Valori, Democrazia, Spirito. Cioè, tutto lecitissimo. Ma.

La netiquette vuole che se si scrive in maiuscolo, è come se si urlasse. Trovo una netta corrispondenza tra l’abuso di maiuscole e la debolezza di quanto si dice. O meglio, la certezza del fatto che se non si spande qualche lettera capitale qua e là il nostro discorso non sia preso in considerazione, chissà perché. Ripenso a una scenetta di Walter Chiari (non sono riuscito a ritrovarla su YouTube) che alza sempre più la voce passando da una telefonata in distretto (senza prefisso) a una in teleselezione, a una in Svizzera per finire con una negli Stati Uniti, condotta urlando. Ugualmente, “alziamo la voce” quando scriviamo cose distanti.
Non credo che molti si sarebbero lamentati se Sorrentino avesse voluto titolare il proprio film La Grande Bellezza, ma non è più bello decidere per nostro conto se ciò di cui tratta è davvero bello, senza imporcelo sin dall’inizio con le maiuscole?
Riprendiamoci le minuscole, ripartiamo dal detto lasciando l’urlato, riprendiamoci il chilometro zero della nostra cultura. Ne abbiamo quanto basta per non dover urlare cose da distante.

a fifty thousand euros cook hat on Amazon

I was looking for a book by Jean Ziegler on Amazon.it, and I came to this search page, in which there is a carpet in tenth place. Then I got curious to see what Amazon proposes for carpets, so I typed “carpet” as search keyword; then I narrowed the results to the “Home & Garden” category and ordered them by descending price. Now, at the top of the page is a “Isfahan carpet silk warp 403×275“, proposed at the fair amount of ninety thousand two hundred sixteen euros. I got to know that Isfahan is a city in central Iran, and it is famous for the quality of the carpets: 750,000 is the average number of knots per square meter (if you prefer, this equals to 75 per square centimeter), and the quality of workmanship and pigments are excellent. So far nothing strange, therefore, although it is a bit hard to think of a rug worthy nearly one hundred thousand Euros, although it is formed by almost ten million knots.

The only associated object (under the heading “Customers who viewed this item also viewed” at the bottom of the page) to Isfahan carpet is a seemingly ordinary chef’s hat, generically referred to as “Toque Chef Works – Color : White” presented at the hyperbolic price of EUR 53,522.30. Click here if you do not believe me.
Makes little sense to think of a typo. And above all, who’s the one looking for a hundred thousand euro carpet and – shortly before or shortly after – a fifty thousand euro cook hat?
The hat comes from Chef Works, a California-based company produces clothing for catering professionals, but not otherwise present on Amazon. It is sold by Rinkit Ltd, which proposes on Amazon tens of thousands of articles of various kinds. Unfortunately it is not given a chance to sort products by price high to low (to see if there are other very expensive items), but within the window of Rinkit Ltd it is possible to perform a search by “toque”, thus obtaining these results. It turns out that even the black hat costs € 53,522.30, while logically the paper one is much cheaper (just over 55 euro). The other possibility is given by this item, apparently another white hat at the same price. It perhaps explains the mystery: with the hat you buy the cook, in defiance of any law prohibiting the trafficking in human beings.

From here on, we enter the assumptions domain. It is not so difficult, though, to think that once bought together, cook hat and carpet may be subject to reasonable discount; on the other hand, a certain panic imagine comes on our mind by thinking how much it might cost to clean the carpet where the chef with hat – black or white – may have clumsily knocked over a soup with saffron, caviar, truffles, mushrooms and Matsutake gold flakes.

un cappello da cinquantamila euro

Tappeto Isfahan ordito in seta 403×275

Cercando un libro di Jean Ziegler su Amazon sono arrivato a questa pagina di ricerca, nella quale, in decima posizione, si trova un tappeto. Curioso di vedere quali tappeti Amazon proponga, ho semplicemente cercato per “tappeto”, che limitando i risultati alla sola categoria “Casa e cucina” e ordinando per prezzo decrescente ha prodotto questo risultato. Ora, in cima alla pagina appare un “Tappeto Isfahan ordito in seta 403×275“, proposto alla modica cifra di novantaduemiladuecentosedici euro. Apprendo che Isfahan è una città dell’Iran centrale, celebre per la qualità dei tappeti che vi si producono: 750.000 è il numero medio di nodi per metro quadro (se preferite sono 75 per centimetro quadrato), e la qualità della lavorazione e dei pigmenti sono eccelse. Sin qui nulla di strano, dunque, per quanto sia un po’ difficile pensare a un tappeto da quasi centomila euro, pur stimati in quasi dieci milioni i nodi che lo formano.

Unico oggetto associato (sotto la dicitura “I clienti che hanno visto questo articolo hanno visto anche” in basso di pagina) al tappeto Isfahan è un tocco da cuoco, un cappello da cuoco apparentemente ordinario, genericamente denominato “Chef Lavori Toque Colore: Bianco che però è presentato all’iperbolico prezzo di 53.522,30 euro. Per dirla alla Bonolis, un centinaio abbondante di milioni di lire del vecchio conio. Cliccate qui se non ci credete.
Poco sensato pensare a un errore di battitura, ipotizzabile in caso di assenza di centesimi. Ma soprattutto, chi cerca tappeti da centomila euro e – poco prima o poco dopo – cappelli da cuoco da cinquantamila?
Il cappello è marchiato Chef Works, società californiana produttrice di abbigliamento per professionisti della ristorazione, ma non altrimenti presente su Amazon, e venduto da Rinkit Ltd, che invece propone proprio su Amazon una decina di migliaia di articoli di vario genere. Purtroppo non è data la possibilità di ordinare i prodotti per prezzo decrescente, ma all’interno della vetrina della Rinkit Ltd è possibile operare una ricerca con chiave “toque”, che presenta questi risultati. Si scopre che anche il cappello nero costa 53.522,30 euro, mentre logicamente quello di carta è molto più conveniente (poco più di 55 euro). L’altra possibilità è data da questo articolo, apparentemente un altro cappello bianco allo stesso prezzo, che però forse chiarisce l’arcano: insieme al cappello si acquista anche il cuoco, in barba a qualsiasi legge che proibisce la tratta degli esseri umani.
Costa come un bilocale

Di qui in poi si entra nel dominio delle supposizioni. Nulla però vieta di pensare che, se acquistati insieme, cappello, cuoco e tappeto possano essere suscettibili di congruo sconto, mentre si ha un certo timor panico a immaginare quanto potrebbe costare far pulire il tappeto ove il cuoco dotato di cappello – bianco o nero – possa aver maldestramente rovesciato una zuppa di zafferano, caviale, tartufo, funghi Matsutake e scaglie d’oro.

a domanda risponde (Wikipedia), ovvero la voce d’Elkann

Jonathan Galassi (proprio lui)

Jonathan Galassi, lei è presidente di una prestigiosa casa editrice come Farrar, Straus & Giroux che è un caso abbastanza unico negli Usa: a differenza di altri editori pubblica molti libri stranieri. Quali sono i vostri criteri?

Quest’anno lei ha pubblicato per la prima volta negli Usa la traduzione dello «Zibaldone» di Giacomo Leopardi. Perché?
Che cosa c’è di così speciale nello «Zibaldone», secondo lei?
Ma lei pubblica anche molti altri italiani, giusto?
Lei pensa che la letteratura italiana sia vivace in questo periodo?
E la letteratura americana?
E’ appena uscito negli Usa un film-documentario del regista Shane Salerno su J. D. Salinger. Lo trova interessante?
Anche lei scrive ed è poeta: che cosa sta scrivendo in questo momento?
Le piace il suo lavoro di editore?
Quanti libri pubblicate ogni anno?
Lei quando scrive?
Si può dire che lei sia l’ultimo erede della grande tradizione della sua casa editrice?
Chi sono i suoi autori principali?
Come vede la situazione dell’editoria alla vigilia della Fiera di Francoforte, dove si ritrovano tutti gli editori?
Frederick Seidel, che cosa significa oggi essere un poeta americano?
E perché non insegna?
Come scrive un poeta?
E’ difficile formare dei concetti e dare loro forma di poesia?
La sua ultima raccolta «Nice Weather» è consacrata a descrivere il mondo di oggi in poesia…
Lei scrive a mano?
E’ vero che lei è un grande ammiratore di Eugenio Montale?
Chi sono i suoi poeti preferiti?
Lei è stato influenzato da Ginsberg e dalla Beat Generation?
La poesia ha un posto importante negli Stati Uniti?
Lei dove pubblica?
E’ vero che si sente un po’ come Salinger?
Per quale motivo?
E’ vero che lei è anche un grande appassionato di motociclette?
Perché ha smesso di viaggiare?
In che modo la vive?
Che cosa pensa del suo Paese?
E in politica estera? Questo Paese ormai non desidera più gli interventi militari…
Tutto ciò influenza la sua arte?
Lei è sempre così elegante, ci tiene molto?
Mario Testino, lei è un celebre fotografo di moda: in questi giorni si trova a Lima, in Perù, ma di solito vive a Londra. E’ così?
Lei si sente peruviano?
Dov’è il suo studio?
Lei è molto legato al «Vogue» americano e a «Vanity Fair»?
Lei è un famoso ritrattista: qual è il suo segreto?
I suoi scatti di Lady Diana sono diventati famosi in tutto il mondo.
Com’era Diana?
E Carlo e i suoi figli?
E la regina?
Quali sono stati i personaggi che più l’hanno colpita?
Lei chi ha scoperto?
Con quale macchina lei fotografa?
Chi è stato il suo maestro?
E come sono le «sue» foto?
Lei è molto diverso da Newton?
Chi sono i grandi fotografi?
La fotografia è un’arte?
I tre blocchi sono le serie di domande poste da Alain Elkann a tre personaggi da lui scelti per la sua rubrica domenicale su “La stampa” (nei giorni 8, 15 e 22 settembre 2013). Le voci di Wikipedia associate ai tre personaggi sono invece rispettivamente visibili qui, qui e qui.
Ora, due domande.
Si può pensare che dalle domande dei primi tre blocchi possano scaturire risposte molto più ricche di contenuto informativo di quello contenuto nelle voci di Wikipedia?
E poi, se Elkann abitasse in Azerbaigian ci proporrebbe forse i ritratti di un magnate del petrolio, del più rinomato mercante di montoni e del più commovente interprete della musica locale? Forse ne guadagneremmo in curiosità. Alla faccia di Wikipedia.