c’erano… sette fili di canapa… – 1

Sta arrivando sul mercato la soluzione più “verde” del mercato automobilistico. Si tratta della Kestrel, vettura di produzione canadese che coniuga il basso impatto ambientale del motore elettrico alla a dir poco inconsueta composizione della carrozzeria, realizzata interamente in canapa. La Motive Industries Inc. di Calgary ha effettuato i test del prototipo funzionante della vettura nel mese di agosto 2010, e le prime stime danno come velocità di punta per la Kestrel i 90 km/h, mentre secondo il tipo e le dimensioni delle batterie utilizzate la sua autonomia dovrebbe variare tra i 40 e i 160 km. Nell’abitacolo potranno prendere posto fino a quattro persone (meno se le batterie sono quelle di maggiori dimensioni).
Elemento innovativo dell’automobile è la carrozzeria, per la quale è stato utilizzato un materiale composito sviluppato dalla Alberta Innovates-Technology Futures, che si è servita di fibre di canapa provenienti da una coltivazione situata a Vegreville, vicino Edmonton, in Alberta. La cittadina, nonostante un Wal-Mart, ha spiccate peculiarità: oltre a perpetuare una tradizione ucraina mostrando un gigantesco (con il piedistallo è alto quasi 10 metri) uovo di Pasqua alle proprie porte, ospita una raffineria di biodiesel. Tutti tengono a precisare che la piantagione di Vegreville è sotto stretto controllo governativo; in ogni modo, a scanso di incursioni di appassionati del genere, a Vegreville affermano che la canapa industriale lì coltivata ha una concentrazione di THC di molto (ma molto) inferiore a quella della normale pianta di cannabis.
Insomma, la macchina dovrebbe funzionare, pure bene, e secondo Nathan Armstrong della Motive Industries la struttura della Kestrel ha incredibili caratteristiche di rigidità, proprio grazie al materiale impiegato.
La Kestrel sarà costruita con l’aiuto delle scuole politecniche dell’Alberta, del Quebec e di Toronto, e le prime 20 vetture saranno consegnate nel corso dell’anno all’EnMax, un consorzio per la fornitura di servizi energetici di Calgary, coinvolto nel progetto Eve, industria automobilistica sui generis alla quale partecipa anche la Ontario Electric per la fornitura delle parti elettriche.

http://www.cbc.ca/technology/story/2010/08/23/cannabis-hemp-electric-car-kestrel-motive.html

che ognuno si sappia regolare

Contro il logorio della vita moderna… ossia, contro i rischi che gli uomini corrono sbarbandosi e curando il proprio pizzetto il mattino presto (rimozioni involontarie di parti del pizzetto medesimo, sfoltimenti inaccurati, linee tremolanti, ecc.), ecco il GoateeSaver, il dispositivo che permetterà anche ai più imprecisi, frettolosi e tremolanti portatori di pizzetto una perfetta rasatura e finitura dei contorni del medesimo.
Il GoateeSaver dispone di tre punti di regolazione: le tre viti senza fine orizzontali permettono di adattarlo sufficientemente bene a tutti i visi. Chiaro, si rimane nella forma “standard” del pizzetto, con le linee che scendono lateralmente ai baffi e si uniscono sotto il mento.
Sul sito www.goateesaver.com il dispositivo può essere visto (un filmato su Youtube aiuta in questo senso), valutato (gli utenti ne contano le mirabilia) ed acquistato (e l’uso promette risultati invidiabili con il gentil sesso). Persino il suo ideatore, nonché amministratore dell’azienda che lo produce, ne decanta le proprietà.

A convincere l’incerto internauta concorrono alcune frasi riportate nella testata della homepage. Anzitutto, chiariscono che cosa sia in realtà un pizzetto:

It reflects your personality. It declares your individuality. Your goatee is much more than just facial hair, your goatee style helps fashion your identity. We understand its importance to you. That’s why we created the GoateeSaver shaving template, the innovative grooming tool designed to give you the perfect goatee every time you shave.

Ma il meglio viene dopo:

Looking for a unique gift for the man that has it all? Get him the GoateeSaver. For Christmas, Father’s Day, birthdays and graduations, grooming perfection makes a perfect gift for that hard-to-buy-for guy.

Così il GoateeSaver sarebbe un perfetto regalo per l’uomo che ha già tutto (se ha già tutto, certo), e occasione tra quelle ideali per il regalo sarebbe la laurea. “Che ti ha regalato Sonia per la tua laurea?” “Un GoateeSaver, che altro?” Sono passati i tempi antidiluviani in cui si regalavano le penne stilografiche.

L’oggetto stimola altre considerazioni.
Anzitutto, il prezzo del GoateeSaver è di 19 dollari e 99 centesimi. Funziona ancora? La strategia di mettere la prima cifra seguita da una teoria di 9 è ancora utile a far credere al compratore di pagare di meno? Sa molto di old fashioned; oltre a Homer Simpson qualcuno è ancora allettato da simili sirene?
Il GoateeSaver si usa mordendolo. Un bite estraibile simile a quello dei pugili esce dal retro, permettendo di collocare il profilo sul viso del rasaturo. L’oggetto è pertanto assolutamente personale: chi mai userebbe il GoateeSaver altrui?
In ultimo, può il GoateeSaver può essere usato per altre rasature o depilazioni? Largo alla fantasia.

i cablogrammi, questi sconosciuti

L’affaire Wikileaks ha riportato alla ribalta un termine che si direbbe piuttosto desueto, quello di “cablogramma”. La parola si riferisce a una tecnica che prevedeva la trasmissione di messaggi cifrati (con elementi punti e linee) attraverso cavi, in particolare sottomarini. La tecnica ebbe fortuna per tutta la Seconda guerra mondiale, quando era uno dei metodi più sicuri per la comunicazione di importanti informazioni. A differenza dei segnali radio, che per definizione compiono il broadcast, ossia la diffusione del segnale nella parte percorribile dell’intorno sferico circostante, e che quindi potenzialmente possono essere rivevuti da tutti coloro i quali si dotino di un ricevitore regolato sulla giusta frequenza, la trasmissione via cavo garantisce la privatezza del mezzo, oltre alle possibili crittazioni compiute sul messaggio.
Al tempo dei cablogrammi, un marconista ascoltava in cuffia i segnali (punti e linee) inviati per mezzo del cavo, e li trascriveva su foglio. Sul messaggio si operava poi la decrittazione del caso.
Ancora durante la crisi missilistica cubana, l’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Dobrynin, trasmise a Krushev la sintesi dei colloqui con gli Americani, con questo mezzo. Il cablogramma, semplicemente cable in inglese, fu portato alla sede della Western Union, (che giusto 150 anni fa completava la prima linea telegrafica transcontinentale in Nord America) da dove sarebbe stato dispacciato, da un fattorino in bicicletta.
Attualmente il termine non ha più lo stesso significato tecnologico; un cablogramma è in definitiva un messaggio di posta elettronica, istradato secondo regole molto rigide, magari con una crittografia di un certo tipo sui dati, ma pur sempre un messaggio di posta elettronica. La distinzione da un messaggio ordinario non si basa più sul mezzo di trasmissione, ma sulle modalità di trasmissione, ovviamente a parità di mezzo.

Steampunk!

Steampunk è termine che prende le mosse dal termine cyberpunk (la corrente letteraria aperta da William Gibson con il suo Neuromancer, del 1984), nel quale il prefisso cyber è sostituito da steam, ossia “vapore”. E’ una corrente narrativa fantascientifica nella quale si ha la presenza di una anacronistica. Periodo privilegiato per la collocazione di queste storie è il periodo vittoriano in Inghilterra. Pur vedendo questo periodo la comparsa della tecnologia elettrica (in particolare gli ultimi 20 anni del xix secolo), la forma di energia privilegiata è il vapore, caratterizzante la (prima) Rivoluzione Industriale appena conclusa.
Sebbene si immaginino elaboratori, questi non sono elettronici, ma analogici (come lo erano le macchine di Babbage); semmai, l’unica forma concessa al campo elettromagnetico è il magnete.
Iniziatrice del genere è a buon titolo La macchina della realtà, pubblicato nel 1990 a firma di William Gibson e Bruce Sterling.
Tra le opere cinematografiche, La leggenda degli uomini straordinari (2000), con Sean Connery, è tra i migliori esempi di film steampunk. La stessa saga di Mad Max (1979, 1981 e 1985), interpretata tra gli altri da Mel Gibson, può ricadere nella categoria. Non ultimo, Brazil di Terry Gilliam (1985) è da considerarsi appieno come opera del genere.
Qui di seguito sono visibili degli esempi di oggetti steampunk; non per forza sono funzionanti (ma spesso sì!), ma danno un’idea di che cosa sia il filone.

l’iPad a vapore

Il sito ThinkGeek, vera vetrina di novità, propone in “copertina” un gadget da associare all’ormai immarcescibile iPad: la custodia con tastiera Bluetooth. L’oggetto, in vendita all’approcciabile prezzo di 59 dollari e 99 centesimi, parla di utenti di iPad che, comettendo atto di lesa maestà, si sarebbero macchiati di “leave your iPad behind”, vale a dire di non prendere sempre con sé l’amato feticcio ma di metterlo da parte quando le cose si fossero fatte serie. Continua la descrizione: “The truth is that you really needed a keyboard. Not all the time, mind you, but enough so that your hastily composed emails signed with ‘- Sent from my iPad’ wouldn’t be read like ‘- Sent from my divan, where servants are hand-feeding me grapes as I lounge and browse the Interwebs.'”
L’iPad quindi come segnale di assenza di serietà. E quale migliore maniera di conferire ottocentesca serietà al tablet più famoso? Dotarlo di meccanica schiera di tasti, più politicamente corretta dell’effimero tastierino software (si noti come “tastiera” corrisponda alla compitezza della dattilografa e “tastierino” all’estemporaneità dell’utenza virile).
Ritorna l’archetipo, quindi, che intervenne nella realizzazione della forma del computer destinato all’utenza allargata: una macchina per scrivere, il fondamento, il noto, associata a uno schermo, oggetto eminentemente del dopoguerra e quindi nuovo, che pur già comune nelle case sotto forma di televisione, non era stato sino a quel momento controllabile, e quindi ancora da esorcizzare nella sua forma “personale”. Si vede bene questa combinazione in Brazil di Terry Gilliam.

Un oggetto, in definitiva, inconsciamente (e meravigliosamente, si può dire?) steampunk, che nelle didascalie delle immagini appare come tale: si rassicura l’utente dicendogli “Non you can really throw your netbook away” (si badi, non il laptop o notebook, ma la sua deriva minimalista), o “Full-sized keys” (le piccole dimensioni dei tasti li rendono poco seri), pur ricordandogli che la custodia “Folds over easily for normal use”. Siamo ancora in pieno assestamento, se il ritorno alla tastiera riconduce ad ambiti consueti o normalizzati, riconoscendo però che il “normal use” è quello per cui l’oggetto è stato progettato.
L’utente è ancora spiazzato, segno dell’inutilità del pur bellissimo oggetto o degli assestamenti verso una nuova tipologia di strumenti informatici personali?

il mago dell’immondizia

Sentendo in questi giorni la trasmissione di Radio Due Un giorno da pecora si può apprendere dell’ameno tentativo da parte del mago Otelma, autodefinentesi come Primo Teurgo della Chiesa dei Viventi, Gran Maestro dell’Ordine Teurgico di Elios, Fonte di Vita e di Salvezza, Dispensatore di Verità Archetipa e Luce dei Viventi, di convincere la municipalità napoletana (sì, sì, il Consiglio comunale tutto) a intraprendere per la risoluzione del (si direbbe annoso) problema dei rifiuti la via di una processione propiziatoria da lui medesimo condotta.
Alla base della mancata delibera si avrebbero, secondo mezze affermazioni del “divino”, come egli usa autodefinirsi, mancanti volontà di outing da parte dei membri del Consiglio, che se in separata sede confermano tutta la fiducia possibile a Marco Belelli (così si chiama in realtà il mago Otelma), d’altro canto non possono esporsi in pubblico, e ciò impedisce loro incidentalmente di assegnargli giusta prebenda.
Senza entrare nel dettaglio della sicuramente efficace arte teurgica del “divino”, qualcosa fa pensare che la sua pretesa di risolvere una situazione oggettivamente complessa (nel senso proprio del termine) per mezzo di arti magiche abbia a che fare con le arti da lui praticate, che gli valsero nel 1987 una condanna con sentenza definitiva a due anni di reclusione per circonvenzione di incapace emessa dalla Corte d’Appello di Trieste.
Il mondo contemporaneo è da un lato ricchissimo di oggetti e conoscenze che appartengono all’ “universo della precisione”; dall’altro, la continua ricerca del limite, teorico, ma soprattutto tecnologico e scientifico, pongono l’uomo in una situazione di perenne sbilanciamento sull’orlo dell’ignoto, del non percorso, del non quantificabile e riducibile a forma algoritmica. E’ così endemicamente inconoscibile, o almeno momentaneamente ignota, o non compresa, una non negligibile porzione del percepito.
Da sempre l’uomo affronta il limite in modo epistemologicamente “misto”, ossia usando per la sua comprensione strumenti che potrebbero essere definiti rispettivamente gnoseologici e gnostici. In altre parole, un po’ tenta di capire con l’intelletto, con il procedimento induttivo/deduttivo, con spiegazioni razionali, e un po’, dove in ultima analisi “non ci arriva”, con mezzi non razionali.
Si pensi all’automobile, che sino agli anni ’70 in Italia era portata a essere benedetta e conseguentemente munita di santini; si trattava di un oggetto tecnologico nuovo non tanto come invenzione, ma come uso comune, e come tale doveva essere sdoganato per rientrare tra gli oggetti “casalinghi”, quelli di cui ci si può fidare: la sua utilità era indissolubilmente legata alla sua pericolosità; per questo si benedivano le automobili e non le lavatrici. Le navi sono varate con atti apotropaici (di cui l’ultimo è la rottura della bottiglia contro lo scafo), perché pur essendo note per composizione e funzionamento, sono collocate in un ambiente non tecnologicamente controllabile come il “mare oscuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai”.
I Romani prevedevano una figura come quella del pontifex maximus, cui spettavano funzioni politico-organizzative (come una sorta di ministro delle infrastrutture) e contemporaneamente propiziatorie, comprendendo in sé parte di quelle dell’augure. Cioè a dire, il pontifex dava ad esempio mandato della costruzione di un ponte, ne sovrintendeva anche la realizzazione pratica, ma siccome la campata necessaria per scavallare un fiume come il Tevere o altro era di lunghezza tale per cui la pur valente tecnica edificatoria dei Romani raggiungvea il proprio limite, entrando in quella zona grigia nella quale la certezza della realizzazione non era più tale, non disponendo di mezzi conoscitivi razionali sufficienti a darsi e dare forza rispetto alla propria scelta, si affidava a mezzi che razionali più non erano. E così via libera alla divinazione, allo scandaglio del futuro con l’osservazione di voli di corvi o ispezione degli intestini di una capra.
Tornando alle vicende odierne, è comprensibile che si pensi che un problema i cui limiti e le cui soluzioni non sono percepiti in modo chiaro dalla maggioranza delle persone, ivi compresi i rappresentanti delle istituzioni democratiche, che così tanto pesa su di una popolazione, possa avere utile soluzione quando questa provenga da domini conoscitivi non razionali.
In questi termini, tuttavia, la proposta di Otelma avrebbe senso se venisse dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, o da quello dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo, che stanco di trovarsi di fronte una condizione alla quale non riesce a porre rimedio con le ordinarie azioni amministrative, scegliesse di invocare l’Altro, il Di-Là-Da-Noi, incarnando ancora una volta in un’unico corpo le due funzioni di gestore della res publica e di aruspice.
Come tale, invece, non può essere accettata, Otelma non ne voglia ad alcuno, almeno sino a quando non diventerà ministro. Ciò che, peraltro, viste le figure attualmente in carica, non è affatto impossibile.

l’effetto del lunedì – 03 – Leidenfrost

L’effetto Leidenfrost, come molti effetti, prende il nome dal proprio scopritore, il fisico tedesco che per primo lo studiò. Johann Gottlob Leidenfrost (Ortenberg 1715 – Duisburg 1794), attivo presso l’università di Diusburg, della quale fu anche rettore, svolse l’attività di fisico a fianco di quella principale di medico, e si interessò anche di chimica.
L’effetto consiste nella non-vaporizzazione istantanea di una goccia di un liquido lasciata cadere su di una piastra, a temperatura di molto superiore a quella di ebollizione del liquido.
Nel caso dell’acqua, portando la piastra intorno ai fatidici 100° C del punto di ebollizione, la goccia evapora nel giro di un secondo, producendo il tipico rumore. Se però la temperatura della piastra si aggira attorno ai 200° C la goccia produce in corrispondenza del punto di contatto con la piastra un sottile velo di vapore, che la mantiene integra anche per diverse decine di secondi.
Si dice “punto di Leidenfrost” la temperatura, caratteristica di ogni liquido, a partire dalla quale il fenomeno ha luogo.
La spiegazione dell’effetto sta nel basso coefficiente di conducibilità termica del vapore, che ritarda la propagazione del calore dalla piastra alla restante parte della goccia. In più il vapore, a mo’ di un cuscinetto, riduce in modo sensibile l’attrito tra goccia e piastra, permettendone il movimento quasi libero che spesso si può notare.
Si ritiene che l’effetto Leidenfrost contribuisca almeno parzialmente alla buona riuscita delle pratiche di pirobazia, le camminate sui carboni ardenti; o addirittura, all’immersione di una mano nel piombo fuso.

Il video seguente mostra questa coraggiosa pratica; sono anche visibili delle goccioline che resistono sul piombo fuso (almeno 327° C) proprio a causa dell’effetto. WARNING: KIDS DON’T DO IT AT HOME!!!

Wolfram|Alpha

Wolfram|Alpha è un “motore computazionale di conoscenza” che interpreta le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta invece di offrire una lista di collegamenti ad altri siti web. L’autore di questo strumento, attivato il 18 maggio 2009, è lo scienziato e matematico britannico Stephen Wolfram, conosciuto per aver sviluppato il software “Mathematica”.

È un software molto sofisticato, che elabora dei precisi input sia in linguaggio matematico che in linguaggio naturale, fornendo una risposta dettagliata alla domanda. Il modo in cui si pone la domanda può dunque influenzare l’efficacia della risposta. Attualmente è incentrato soprattutto sulle conoscenze tecniche e solo in lingua inglese.

Inserendo nel campo della ricerca una forma funzionale analitica, ad esempio, il sito restituisce il grafico della funzione, e il suo studio. Scrivendo invece il nome scientifico di un essere vivente (ad esempio panthera leo per il leone), si ottiene l’albero della sua classificazione. Ancora, la semplice scrittura di una formula chimica consente la visualizzazione delle caratteristiche più importanti del composto. Gli esempi sono ancora molti, e spaziano dalla geografia (inserendo un toponimo si ottengono i dati essenziali a riguardo), alle informazioni di borsa (inserendo il nome o il codice di un’azione), dalla storia (inserendo una data si ottengono i principali avvenimenti in quel giorno e in quel mese in altri anni, ad esempio) agli Easter’s Eggs (“uova di Pasqua”), ossia i “regali” inattesi che il motore fa inserendo particolari richieste (vedi esempio).

Si pensi a un liceale in preda al panico di fronte a uno studio di funzione o a un universitario che deve rispondere in merito a un composto ignoto: come cambierebbero le loro prospettive disponendo in aula di un simile sistema?

la lista del giovedì – 03 – dieci modi per rovinare un buon caffè

L’arte di rovinare un buon caffè di Roselina Salemi apparso su “La stampa” di lunedì 13 settembre 2010 riportava 10 fattori che possono impedire la realizzazione di un buon caffè da bar. Li si riprende qui, con qualche commento.

“1. Troppe tazzine – Se si dispongono più di due file sopra la macchina, quelle dietro rimangono fresche”
Alternativamente, un barista può mettersele in tasca, disporle in una fila ordinata sul bancone, darne due in mano ad ogni avventore; o può spostare quelle che prima erano dietro, prendendo il posto di quelle davanti quando queste sono utilizzate.

“2. Tazzine cilindriche – Questa foggia non aiuta la formazione della crema”
Su questo punto occorrerà tornare: ci sarà pure qualche università dove è stata svolta una tesi con titolo vicino a “Dinamiche non lineari nello sviluppo della schiuma in tazzine da caffè tronco-coniche in presenza di flussi con numeri di Reynolds inferiori a 1000”.

“3. Caffè macinato nel dosatore – Invecchia molto più velocemente del caffè in grani”
Verissimo; il principio della macinazione si basa sul fatto che l’aumento dell’area superficiale permette uno scambio maggiore con l’aria o l’acqua. Partendo dai grani, inoltre, si è anche certi che ciò si mette nei filtri è solo caffè.

“4. Fondi nel portafiltro – Il nuovo caffè finirà per sapere di bruciato o di fumo”
Lo vedete il barista che a ogni caffè lava il portafiltro, lo asciuga e lo ripone nella sua sede?

“5. Portafiltro con bordi sporchi – Non si aggancia alla macchina e il caffè sa di gomma bruciata”
Vedi punto 4.

“6. Dose troppo scarsa – 10 grammi invece di 14 danno un caffè con meno corpo e meno aromi”
A tutte le macchine da caffè professionali sono abbinati dei dosatori con levetta a molla, che permettono un’erogazione costante. Probabilmente è possibile regolare la quantità rilasciata a ogni colpo. Difficile che un barista sia così corto di vedute da rovinare i propri caffè per 4 grammi.

“7. Miscela scadente – Si riconosce subito dalle note di paglia e di arachide”
Qui se il braccino corto la fa da padrone, c’è poco da fare. Si veda la conclusione del punto 6.

“8. Polvere poco pressata – L’accua corre troppo velocemente nel caffè”
E’ il punto 6 visto da un’altra angolazione: se c’è poca polvere, sarà meno pressata.

“9. Niente fretta – Se l’acqua attraversa la polvere per meno di 25 secondi si ha un caffè «sottotostato»”
Esistono in commercio cronometri di ogni tipo; munitevi di uno per verificare che questa condizione sia rispettata. 25 secondi? In 25 secondi si riempirebbe una tazza da cioccolato…

10. Eccesso di acqua – La misura corretta è di circa 25 millilitri, 35 sono eccessivi. Bocciato il caffè lungo”
Ma pure il caffè al volo, alla caffeina, americano, americano macchiato, basso, bollente, bollente macchiato, brasiliana, canario, con cacao, con nuvoletta, corretto schiuma, corto, doppio, doppio macchiato caldo/freddo, doppio ristrettissimo – con latte freddo a parte, doppio ristretto – con latte freddo a parte, doppio ristretto/lungo, espresso con panna, espresso doppio, espresso granita, espresso molto lungo, espresso romano, espresso solo, francese, goccia di caffè con crema di latte, goccia di caffè con latte senza schiuma, in tazza bollente, in tazza fredda, in tazza grande con panna, in vetro, jamaica, latte macchiato, leggero, lungo, lungo in tazza grande – macchiato caldo/freddo, lungo macchiato caldo/freddo, lungo molto macchiato, macchiato caldissimo, macchiato con cacao, macchiato lungo con acqua calda a parte, marocchino, normale con acqua calda/fredda, normale con un cubetto di ghiaccio, normale macchiato caldo, normale macchiato caldo con un po’ di latte freddo, normale macchiato freddo, normale schiumato, ristretto, ristrettissimo, ristrettissimo con poco latte, ristrettissimo con tanto latte, ristretto, ristretto in tazza bollente/fredda, ristretto in tazza grande, ristretto in tazza grande macchiato caldo/freddo, ristretto in vetro, ristretto in vetro macchiato caldo, ristretto macchiato caldo senza schiuma, ristretto macchiato caldo/freddo, ristretto macchiato schiumato, romano, solo, spremuta di arabica, spremuta di brasil, spremuta di chicchi, spumato, super, turco.

E comunque, non è consigliabile esagerare…

matite e penne spaziali

Fino a qualche tempo fa circolava la storiella secondo la quale gli Americani, soliti approcciare i problemi tecnici spaziali con budget milionari, avessero impiegato grandi risorse finanziarie per la realizzazione di una “penna spaziale” che ovviasse ai problemi presentati dalle ordinarie penne a sfera, incapaci di scrivere bene in assenza di gravità. I Russi, sempre secondo la storiella, avrebbero semplicemente utilizzato una matita.
Sin dai primi lanci di capsule spaziali, tuttavia, le matite sono stati gli strumenti di scrittura utilizzati sia dagli Americani sia dai Russi; le mine, però, a volte si rompevano e diventavano rischiose galleggiando nell’atmosfera senza gravità della capsula medesima. Potevano così ledere un occhio o entrare nel naso, o ancora causare cortocircuiti nei circuiti elettrici. In più, sia la mina sia il legno della matita potevano velocemente bruciare nell’atmosfera di ossigeno puro. Tuttavia le matite furono utilizzate su voli spaziali delle serie Gemini e Mercury e su tutti i voli spaziali russi prima del 1968.
Il produttore Paul Fisher comprese che gli astronauti avevano bisogno di uno strumento di scrittura più sicuro e affidabile, così nel luglio 1965 sviluppò per conto proprio la penna a sfera pressurizzata, nella quale l’inchiostro contenuto in una cartuccia sigillata e pressurizzata. Fisher sottopose i primi prototipi a Robert Gilruth, allora direttore del centro spaziale di Houston. Le penne erano completamente di metallo tranne l’inchiostro, che aveva un punto di infiammabilità superiore ai 200° C.
Dopo l’incendio sull’Apollo 1, a causa del quale perirono tre astronauti, la NASA richiese uno strumento di scrittura che non rischiasse di prendere fuoco in un’atmosfera dove il tenore di ossigeno era del 100%, e che svolgesse bene il proprio compito nel vuoto, senza gravità. Poi, che lo facesse in un intervallo di temperature dai -120 ai 150° C. Le “penne spaziali” campione furono provate a fondo dalla NASA dal settembre 1965. Superarono tutti i test e nel dicembre 1967 le prime 400 “penne spaziali” furono vendute da Paul Fisher alla NASA, al prezzo di 2,95 dollari l’una. Sono state usate da allora su tutti i voli spaziali, sia russi sia americani.

NOTA: perché da sempre i cosmonauti sono i Russi della Soyuz e gli astronauti gli Americani dell’Apollo?