Un “gioco corretto” – Il cifrario Playfair

Il ponte che da lui prende il nome, dispositivo utile per il calcolo di una resistenza ignota, permette la determinazione di quel valore in modo piuttosto semplice; a Sir Charles Wheatstone si deve anche un’altra tecnica, che mostra analoga semplicità, per la crittazione di messaggi testuali.
Tale tecnica non prende il nome da lui, ma da colui che per primo la presentò in pubblico. Lyon Playfair, barone di St.Andrews, amico di Wheatstone, ne espose il funzionamento ad una cena cui partecipava Lord Palmerston, a quel tempo ministro degli Esteri. Era il 1854; l’anno successivo sarebbe iniziata la guerra di Crimea, ma il codice non fu adottato, forse per un ingiustificato timore legato alla sua complessità di applicazione.
Sarebbero trascorsi quasi 50 anni prima di vedere il cifrario utilizzato in un conflitto, primo scenario nel quale la crittografia era di utilità: nella Seconda guerra boera del 1899-1902 gli Inglesi lo utilizzarono per proteggere i messaggi di rilevanza strategica medio-alta.
Caratteristica fondamentale del cifrario Playfair è la piccola quantità di dati che occorre ricordare per utilizzarlo: una volta apprese 4 regole (precisamente 4) e la chiave di cifratura, si può procedere.

Un esempio diretto può chiarire in modo semplice il funzionamento del cifrario.
Partiamo dalla frase: “Muoveremo stanotte da nord ovest in direzione sud”.

Ora, si considera la frase divisa in gruppi di due lettere, in questo modo:
MU OV ER EM OS TA NO TT ED AN OR DO VE ST IN DI RE ZI ON ES UD, ove il gruppo “TT” diventa “TX”.

Si ha bisogno di una chiave, costituita da una qualsiasi parola o locuzione; diciamo “chiave”. Grazie a questa è formata una griglia, che sarà utilizzata per la trasformazione dei gruppi di 2 lettere. Ecco la griglia (costituita da 25 lettere in luogo delle 26 dell’alfabeto inglese, ma “V” e “W” sono state fuse insieme):

C H I A V
E B D F G
K L M N O
P Q R S T
U W X Y Z

dove le prime lettere, poste per riga a scendere, sono quelle della chiave, e di seguito tutte le altre, in normale ordine alfabetico. Chiaro che con la lunghezza della chiave diventa complessa anche la griglia, ma una chiave lunga è generalmente più difficile da memorizzare.
A questo punto si prendono i gruppi di due lettere, iniziando da “MU”.
Ed ecco una delle quattro regole: si cercano nella griglia le due lettere che formano, con la “M” e la “U”, un quadrato. Si tratta della “K” e della “X”, che formano così il gruppo di due lettere trasformato.
Altri due casi si danno quando le due lettere del gruppo appartengono alla stessa riga o alla stessa colonna nella griglia: in questi casi si scelgono rispettivamente le lettere alla destra e in basso nella griglia. Ovvio che si considera la griglia come “continua”, quindi nel caso in cui una lettera sia l’ultima a destra o in basso, si ricomincia la lettura della riga o della colonna rispettivamente dalla sinistra e dalla lettera in alto.
Nell’esempio, il gruppo “ED”, nel quale le due lettere sono sulla stessa riga, si trasforma in “BF”, costituito dalle due lettere immediatamente a destra.

Una volta trasformato tutto il messaggio, lo si può trasmettere, certamente non insieme alla chiave. Conoscendo questa sarà semplice ripercorrere a ritroso le trasformazioni e ottenere il messaggio originale.

Sin dall’inizio dell’applicazione del cifrario si intravvidero i modi per forzare il codice; tuttavia, normalmente il cifrario fu utilizzato per inviare comunicazioni sì strategiche, ma che perdevano importanza in breve tempo, come nel caso di quelle legate a spostamenti di truppe. Nella maggior parte dei casi i crittografi non riuscivano a forzare il blocco in tempo utile. Nel 1914 ne fu pubblicata la “soluzione”, ossia la tecnica per forzarlo, tuttavia i passi necessari per ottenere questo risultato erano ancora molti.
Il cifrario Playfair fu utilizzato sino a tutta la Seconda guerra mondiale (dai Tedeschi), ma l’avvento dell’informatica lo rese completamente obsoleto. Pur disponendo di 625 digrafi (sono 25 x 25 i gruppi di due lettere), per mezzo dell’analisi delle frequenze, che studia quanto ricorrono le lettere in una certa lingua, e potendo reiterare in gran numero i tentativi sino a trovare una combinazione sensata, un computer attuale non impiega più di qualche secondo per scoprire la chiave scelta.

Galline, Avatar e resistenze, o della stereoscopia e del 3D / 2

(continua il post del 19/01/2010)
Nelle prime fasi di un corso di elettrotecnica, appena completato lo studio dei componenti passivi di un circuito (gli elementi, cioè, come il resistore, il condensatore e l’induttore, che non generano più energia di quanta ne viene loro fornita), ad una svolta di pagina appare uno strano circuito, simile a prima vista a un aspo per la raccolta del filato. In realtà si tratta del cosiddetto ponte di Wheatstone, insieme di resistenze note (fisse e variabili) e di una ignota, di un generatore di tensione (una pila, ad esempio) e di un galvanometro (misuratore di intensità di corrente) di precisione.
Il dispositivo permette, per mezzo della variazione di una resistenza (ipoteticamente, la r2 della figura), la determinazione della resistenza r4.
Stilisticamente ineccepibile, il ponte di Wheatstone è utilissimo per calcolare efficacemente e in modo preciso le resistenze degli elementi circuitali, e in definitiva per un corretto funzionamento dei circuiti. Sfrutterà il medesimo principio il ponte di Maxwell, o ponte universale, con il quale è possibile misurare anche le induttanze e le capacità.
A Charles Wheatstone si debbono importanti perfezionamenti nella telegrafia; codificò una tecnica crittografica che prese di cifrario Playfair dal nome dall’amico Lord Playfair; nel 1832 inventò uno strumento aerofono (alla famiglia degli aerofoni appartiene anche la fisarmonica) dal quale derivò la concertina; e soprattutto ideò lo stereoscopio, un apparato con il quale poteva effettuare la visione di immagini al fine di percepire otticamente la profondità degli oggetti rappresentati.
Gli sviluppi della fotografia e la corrispondenza con il fotografo William Fox Talbot permisero a Wheastone di sviluppare la tecnica stereoscopica con i negativi; al brevetto dello stereoscopio non seguì tuttavia il successo sperato. Si dovette attendere il perfezionamento dell’invenzione da parte di David Brewster (già ideatore del caleidoscopio) nel 1849 perché l’Esposizione Universale del 1858 portasse alla ribalta il dispositivo. Come per molte altre invenzioni, la “benedizione” della regina Vittoria fu sigillo di certo valore.
Brewster rese portatile lo stereoscopio, trasformandolo da un apparato piuttosto pesante con specchi e prismi a una sorta di binocolo portatile e pieghevole attraverso il quale poteva essere consultata ovunque una coppia di immagini stereoscopiche.
Nel frattempo (1852), si inventava la macchina fotografica stereoscopica, ma la seconda metà del xix secolo portava la tecnica stereoscopica a una prematura fine, surclassata, così come la visione attraverso la lanterna magica e il caleidoscopio (quest’ultimo ridotto quasi a una pura locuzione), dalla nuova tecnica che apparve nell’ultimo decennio del secolo: il cinema.
Sarà la nuova tecnica cinematografica a chiamare in causa la stereoscopia, che nel corso del xx secolo avrà nuovi spazi in combinazione con il movimento delle immagini proiettate. Si passerà ciclicamente dalla paura allo stupore, con rappresentazioni il cui grado di realismo ha fatto porre numerose questioni di tipo filosofico sul significato della visione.

(continua)