Fino a qualche tempo fa circolava la storiella secondo la quale gli Americani, soliti approcciare i problemi tecnici spaziali con budget milionari, avessero impiegato grandi risorse finanziarie per la realizzazione di una “penna spaziale” che ovviasse ai problemi presentati dalle ordinarie penne a sfera, incapaci di scrivere bene in assenza di gravità. I Russi, sempre secondo la storiella, avrebbero semplicemente utilizzato una matita.
Sin dai primi lanci di capsule spaziali, tuttavia, le matite sono stati gli strumenti di scrittura utilizzati sia dagli Americani sia dai Russi; le mine, però, a volte si rompevano e diventavano rischiose galleggiando nell’atmosfera senza gravità della capsula medesima. Potevano così ledere un occhio o entrare nel naso, o ancora causare cortocircuiti nei circuiti elettrici. In più, sia la mina sia il legno della matita potevano velocemente bruciare nell’atmosfera di ossigeno puro. Tuttavia le matite furono utilizzate su voli spaziali delle serie Gemini e Mercury e su tutti i voli spaziali russi prima del 1968.
Il produttore Paul Fisher comprese che gli astronauti avevano bisogno di uno strumento di scrittura più sicuro e affidabile, così nel luglio 1965 sviluppò per conto proprio la penna a sfera pressurizzata, nella quale l’inchiostro contenuto in una cartuccia sigillata e pressurizzata. Fisher sottopose i primi prototipi a Robert Gilruth, allora direttore del centro spaziale di Houston. Le penne erano completamente di metallo tranne l’inchiostro, che aveva un punto di infiammabilità superiore ai 200° C.
Dopo l’incendio sull’Apollo 1, a causa del quale perirono tre astronauti, la NASA richiese uno strumento di scrittura che non rischiasse di prendere fuoco in un’atmosfera dove il tenore di ossigeno era del 100%, e che svolgesse bene il proprio compito nel vuoto, senza gravità. Poi, che lo facesse in un intervallo di temperature dai -120 ai 150° C. Le “penne spaziali” campione furono provate a fondo dalla NASA dal settembre 1965. Superarono tutti i test e nel dicembre 1967 le prime 400 “penne spaziali” furono vendute da Paul Fisher alla NASA, al prezzo di 2,95 dollari l’una. Sono state usate da allora su tutti i voli spaziali, sia russi sia americani.
Sin dai primi lanci di capsule spaziali, tuttavia, le matite sono stati gli strumenti di scrittura utilizzati sia dagli Americani sia dai Russi; le mine, però, a volte si rompevano e diventavano rischiose galleggiando nell’atmosfera senza gravità della capsula medesima. Potevano così ledere un occhio o entrare nel naso, o ancora causare cortocircuiti nei circuiti elettrici. In più, sia la mina sia il legno della matita potevano velocemente bruciare nell’atmosfera di ossigeno puro. Tuttavia le matite furono utilizzate su voli spaziali delle serie Gemini e Mercury e su tutti i voli spaziali russi prima del 1968.
Il produttore Paul Fisher comprese che gli astronauti avevano bisogno di uno strumento di scrittura più sicuro e affidabile, così nel luglio 1965 sviluppò per conto proprio la penna a sfera pressurizzata, nella quale l’inchiostro contenuto in una cartuccia sigillata e pressurizzata. Fisher sottopose i primi prototipi a Robert Gilruth, allora direttore del centro spaziale di Houston. Le penne erano completamente di metallo tranne l’inchiostro, che aveva un punto di infiammabilità superiore ai 200° C.
Dopo l’incendio sull’Apollo 1, a causa del quale perirono tre astronauti, la NASA richiese uno strumento di scrittura che non rischiasse di prendere fuoco in un’atmosfera dove il tenore di ossigeno era del 100%, e che svolgesse bene il proprio compito nel vuoto, senza gravità. Poi, che lo facesse in un intervallo di temperature dai -120 ai 150° C. Le “penne spaziali” campione furono provate a fondo dalla NASA dal settembre 1965. Superarono tutti i test e nel dicembre 1967 le prime 400 “penne spaziali” furono vendute da Paul Fisher alla NASA, al prezzo di 2,95 dollari l’una. Sono state usate da allora su tutti i voli spaziali, sia russi sia americani.
NOTA: perché da sempre i cosmonauti sono i Russi della Soyuz e gli astronauti gli Americani dell’Apollo?