La tecnologia del volo si è affermata da non più di un secolo, sebbene i tentativi da parte dell’uomo in questo senso datino dalle epoche più remote.
Nella mitologia greca Icaro spiccò il volo con ali costruite con penne di uccello tenute insieme da cera, peccando di hybris, ovvero presunzione nel voler modificare lo stato naturale delle cose (sacro per definizione per gli antichi Greci), e il destino non gli sorrise.
Ruggero Bacone teorizzò una “sfera cava di rame” riempita con aria calda (hollow globe of copper […] filled with aetherial air or liquid fire): intuì la possibilità di rendere l’aria rarefatta, riscaldandola, affinché potesse galleggiare in aria più densa, ma le sue idee non furono prese in considerazione.
Nel Medioevo si tentò la via della propulsione per mezzo di razzi ma non si fronteggiarono ancora adeguatamente i tre problemi fondamentali legati al volo con mezzi più pesanti dell’aria: la spinta, la geometria del mezzo idonea alla partenza e il controllo in fase di volo.
Anche in questo campo Leonardo è l’icona dell’approccio riduzionista, per la sua propensione a scomporre in minuziose funzioni la tecnica del volo per imitare il movimento naturale degli uccelli; l’idea dell’ala battente si manterrà viva anche in tempi successivi, ma di fatto, un secolo e mezzo dopo, Giovanni Alfonso Borrelli, nel De motu animalium (1680), e Robert Hooke dimostrarono che il tentativo di imitare la natura nel volo era vano: si resero conto che la costituzione della muscolatura umana è inadatta al volo e il peso dell’apparato scheletrico è eccessivo (i volatili hanno le ossa cave, quindi molto leggere). L’ultimo barlume di speranza lo accese Lilienthal, che con i suoi alianti non solo tentò il volo umano, ma diede aiuto notevole agli stessi fratelli Wright.
Nel novembre 1783, i fratelli Montgolfier, industriali della carta, si librarono nel cielo con un pallone aerostatico, che da loro prese il nome. Il globo era fatto di carta sottile alternata a seta, tessuto di elevata resistenza a trazione, usato anche per giubbotti antiproiettile e armature (xiii-xiv secolo in Corea); la mongolfiera arrivò fino a mille metri di altezza. L’obiettivo di questo celeberrimo evento era quello di spettacolarizzare la scena, adibita per stupire lo spettatore.
Nel dicembre dello stesso anno, Jacques-Alexandre-César Charles, al quale si deve la legge omonima dei gas, ascese fino a 550 metri con la sua “charlière”. Questo nuovo pallone era composto da un materiale innovativo: veniva impregnata la seta imbevuta in una soluzione di trementina (un idrocarburo estratto dalle conifere) e lattice del caucciù. Una volta evaporato il solvente si otteneva una superficie impermeabile e dalle caratteristiche di resistenza alla trazione ancora incrementate.
Come in molti altri casi, allo stato prematuro una tecnologia assuma la stessa matrice (in questo caso il pallone), per poi dipanarsi in diverse ramificazioni atte farla evolvere (la diversificazione dei materiali).
Dalla fine del xviii secolo si iniziarono ad approfondire gli studi sulla fluidodinamica: fino ad allora, Torricelli, Newton, Pitot, Bernoulli ne avevano stabilito i fondamenti; Eulero si occupava solo del fluido in moto in un condotto fisso. Va menzionato il tubo di Pitot, strumento per misurare la velocità dell’acqua, che sarà il fulcro di studi successivi: era congeniato per quantificare il fluido che penetrava all’interno di un tubo muovendosi con moto laminare e velocità prefissata; il flusso è parallelo all’imboccatura di uno dei due tubi dello strumento, e il fluido non vi entra; il flusso è invece perpendicolare a quella dell’altro; il fluido riempirà il tubo di un dislivello che, confrontato con quello “a riposo” potrà fornire un’idea della velocità del flusso.
George Cayley nella sua opera On aerial navigation (1809) definì per la prima volta i cardini dell’aerodinamica, ossia “portanza” e “resistenza” di un corpo in moto relativo con il fluido dentro il quale è immerso. Da notare il termine navigation, con il quale si fa diretto riferimento al moto mezzo-fluido più semplice e conosciuto fino ad allora: la nave sull’acqua.
Nel xix secolo si cercò di perseguire la strada del pallone aerostatico con l’ausilio di svariate tipologie di propulsori: dal dirigibile governato da braccia umane, a quello spinto da un motore a vapore (1852, Giffard), poi a gas (1872, Haenlein), ed infine elettrico (1884, Renard e Krebs). Il solito problema che sussisteva ancora era quello della spinta: il mezzo non doveva sempre essere un “razzo-vettore”, ma si doveva anche sostenere in modo autonomo.
Nella mitologia greca Icaro spiccò il volo con ali costruite con penne di uccello tenute insieme da cera, peccando di hybris, ovvero presunzione nel voler modificare lo stato naturale delle cose (sacro per definizione per gli antichi Greci), e il destino non gli sorrise.
Ruggero Bacone teorizzò una “sfera cava di rame” riempita con aria calda (hollow globe of copper […] filled with aetherial air or liquid fire): intuì la possibilità di rendere l’aria rarefatta, riscaldandola, affinché potesse galleggiare in aria più densa, ma le sue idee non furono prese in considerazione.
Nel Medioevo si tentò la via della propulsione per mezzo di razzi ma non si fronteggiarono ancora adeguatamente i tre problemi fondamentali legati al volo con mezzi più pesanti dell’aria: la spinta, la geometria del mezzo idonea alla partenza e il controllo in fase di volo.
Anche in questo campo Leonardo è l’icona dell’approccio riduzionista, per la sua propensione a scomporre in minuziose funzioni la tecnica del volo per imitare il movimento naturale degli uccelli; l’idea dell’ala battente si manterrà viva anche in tempi successivi, ma di fatto, un secolo e mezzo dopo, Giovanni Alfonso Borrelli, nel De motu animalium (1680), e Robert Hooke dimostrarono che il tentativo di imitare la natura nel volo era vano: si resero conto che la costituzione della muscolatura umana è inadatta al volo e il peso dell’apparato scheletrico è eccessivo (i volatili hanno le ossa cave, quindi molto leggere). L’ultimo barlume di speranza lo accese Lilienthal, che con i suoi alianti non solo tentò il volo umano, ma diede aiuto notevole agli stessi fratelli Wright.
Nel novembre 1783, i fratelli Montgolfier, industriali della carta, si librarono nel cielo con un pallone aerostatico, che da loro prese il nome. Il globo era fatto di carta sottile alternata a seta, tessuto di elevata resistenza a trazione, usato anche per giubbotti antiproiettile e armature (xiii-xiv secolo in Corea); la mongolfiera arrivò fino a mille metri di altezza. L’obiettivo di questo celeberrimo evento era quello di spettacolarizzare la scena, adibita per stupire lo spettatore.
Nel dicembre dello stesso anno, Jacques-Alexandre-César Charles, al quale si deve la legge omonima dei gas, ascese fino a 550 metri con la sua “charlière”. Questo nuovo pallone era composto da un materiale innovativo: veniva impregnata la seta imbevuta in una soluzione di trementina (un idrocarburo estratto dalle conifere) e lattice del caucciù. Una volta evaporato il solvente si otteneva una superficie impermeabile e dalle caratteristiche di resistenza alla trazione ancora incrementate.
Come in molti altri casi, allo stato prematuro una tecnologia assuma la stessa matrice (in questo caso il pallone), per poi dipanarsi in diverse ramificazioni atte farla evolvere (la diversificazione dei materiali).
Dalla fine del xviii secolo si iniziarono ad approfondire gli studi sulla fluidodinamica: fino ad allora, Torricelli, Newton, Pitot, Bernoulli ne avevano stabilito i fondamenti; Eulero si occupava solo del fluido in moto in un condotto fisso. Va menzionato il tubo di Pitot, strumento per misurare la velocità dell’acqua, che sarà il fulcro di studi successivi: era congeniato per quantificare il fluido che penetrava all’interno di un tubo muovendosi con moto laminare e velocità prefissata; il flusso è parallelo all’imboccatura di uno dei due tubi dello strumento, e il fluido non vi entra; il flusso è invece perpendicolare a quella dell’altro; il fluido riempirà il tubo di un dislivello che, confrontato con quello “a riposo” potrà fornire un’idea della velocità del flusso.
George Cayley nella sua opera On aerial navigation (1809) definì per la prima volta i cardini dell’aerodinamica, ossia “portanza” e “resistenza” di un corpo in moto relativo con il fluido dentro il quale è immerso. Da notare il termine navigation, con il quale si fa diretto riferimento al moto mezzo-fluido più semplice e conosciuto fino ad allora: la nave sull’acqua.
Nel xix secolo si cercò di perseguire la strada del pallone aerostatico con l’ausilio di svariate tipologie di propulsori: dal dirigibile governato da braccia umane, a quello spinto da un motore a vapore (1852, Giffard), poi a gas (1872, Haenlein), ed infine elettrico (1884, Renard e Krebs). Il solito problema che sussisteva ancora era quello della spinta: il mezzo non doveva sempre essere un “razzo-vettore”, ma si doveva anche sostenere in modo autonomo.