Particolarmente celebre è la dimostrazione per assurdo di Giovanni Girolamo Saccheri, che, certo del proprio risultato, nel 1733 fece intitolare la propria opera Euclides ab omni naevo vindicatus (letteralmente “Euclide vendicato da ogni macchia”). In seguito sarà dimostrato che la dimostrazione di Saccheri era fallace, ma ebbe il merito di spianare la strada all’avvento delle geometrie non euclidee.
Nel corso del xix secolo, infatti, si resero disponibili (e utili) punti di vista alternativi, che non davano più per scontata la validità del postulato cosiddetto delle rette parallele. In maniera indipendente, il matematico russo Nikolai Lobacevskij (1892-1956) e il militare ungherese János Bolyai (1802-1860) concepirono una geometria nella quale per un punto esterno a una retta poteva passare più di una parallela. Si tratta della cosiddetta geometria iperbolica, nella quale il sistema di riferimento non è più un piano, ma un solido, quale ad esempio la pseudosfera di Beltrami, dal nome del matematico italiano Eugenio Beltrami (1836-1900) che la concepì nel 1867. Nella geometria parabolica sono possibili delle forme triangolari la cui somma degli angoli interni è minore dell’angolo piatto.
Alternativamente, il matematico tedesco Bernhard Riemann (1826-1866) ideò una geometria, detta poi ellittica, nella quale il sistema di riferimento è sferico. In questa geometria, una geodetica (ossia una retta massima, ossia una retta che è traccia sulla superficie sferica di un piano passante per il centro della sfera medesima) non ha parallele, poiché se consideriamo ad esempio una geodetica analoga ad un meridiano del globo terrestre, questa incontrerà tutte le altre geodetiche in almeno due punti, compresi gli altri meridiani (tutti i meridiani si incontrano ai poli).
Le geometrie non euclidee furono essenziali nelle formalizzazioni delle teorie fisiche di inizio del xx secolo, ivi compresa la teoria della relatività generale, poiché sono utili nella rappresentazione di uno spazio non più cartesiano (o euclideo, per l’appunto), nel quale si hanno curvature dovute alla inapplicabilità delle trasformate galileiane di spazio (e tempo). La situazione descritta da Einstein per mezzo della geometria ellittica era quella della curvatura del quadrivettore spazio-temporale in presenza di un grande campo gravitazionale, che provoca la flessione degli stessi raggi di luce.
Nella sua teoria, Einstein preferì adottare una geometria non euclidea, sicuramente più complicata, ottenendo però come risultato una formulazione più semplice; alternativamente, avrebbe potuto usare la “vecchia” geometria euclidea, formulando leggi fisiche più complicate.