In risposta a questo post, per come apparso su LinkedIn.
Buonasera Paolo,
se il post voleva essere di rottura, di certo lo è stato. E, come da tua previsione, è piaciuto pochissimo. A me, nella fattispecie.
Giusto una nota sul tempo stimato di lettura che inserisci in apertura del post. Io ci ho messo ben di più, e poi l’ho riletto. Cinquemilaseicentonovantatré caratteri sono veramente troppi per 3 minuti e 01 (sic!) secondi, anche per una lettura singola. Si corre il rischio prefigurato da Woody Allen, che affermava (credo in Saperla lunga, ma dovrei controllare): “Ho fatto un corso di lettura veloce, ho imparato a leggere a piombo, trasversalmente la pagina, e ho potuto leggere Guerra e pace in venti minuti. Parlava della Russia.” Per tua sorte, non me li sono fatti bastare.
Noi siamo la nostra storia. Io sono la mia storia. Non sono mai riuscito a convincermi del contrario. Non sono mai riuscito a parlare a un cliente se non partendo da quanto ho appreso, e quindi dalla mia storia, aziendale o personale. Tu stesso affermi “Voglio sapere, subito, che cosa puoi fare per me. E voglio sapere subito che cosa guadagnerò lavorando con te”. E questo dipende dalla mia storia. Spiacente, te la devi sorbire. Che sia cosa facile fartela gustare, è altra cosa. Su questo tornerò oltre.
Quanto affermo si addice maggiormente ai servizi, un po’ meno ai prodotti, ma vale il fatto che nessuno può vendere se non vende un racconto. Bada che non sto parlando dello storytelling che si sbandiera in giro. Parlo di cose fatte, di conoscenze apprese, di vita vissuta. Altrimenti, se è vero che Google ti dice tutto, perché non potresti capire proprio da Google se posso essere utile per te? Fortunatamente – ah, il vecchio analogico che spunta – non è così.
Se è vero che Google ti dice tutto su di me, lo stesso Big G dice a me tutto di te (dovrei dire che, grazie a Google, posso contare i peli del culo del mio prospect, suspect o quello che è), quindi siamo ad armi pari. Eppure, mi intestardisco a raccontarti la mia storia, i clienti che ho convinto a farsi servire da me, perché credo, davvero, che il migliore dei servizi non possa esistere se non attaccato a una persona (o a un’azienda) e alla sua storia. Non è il servizio in sé, in quanto voce a catalogo, a dare il valore aggiunto, e chiunque abbia venduto servizi, o prodotti con uno straccio di servizio appresso, lo sa bene. Bisogna annusarsi, e nei primi fatidici dieci minuti, ai quali non credo ma mi adeguo, non è importante quello che si dice, ma come lo si dice. Sento una fitta al costato dopo questa affermazione, io che amo parlare di metodi, di servizi, di come farò il lavoro, ma nella mia piccola e insignificante esperienza mi sento di dire che avviene proprio così. La cosa più facile da trasmettere in modo genuino è la propria storia, non fosse altro che è la cosa nella quale crediamo di più. O contiamo di più su di un servizio o prodotto (altro-da-noi) rispetto a noi stessi (noi)? Se il cliente vuole fidarsi di me, deve fidarsi della mia storia.
Certo, bisogna essere bravi a raccontare, e bisogna avere qualcosa di vero e diverso da raccontare. Non rintracci però proprio qui i criteri che anche Google usa per indicizzare le pagine? Mai replicare un testo di altri, e raccontarlo con i giusti crismi, questi sono i dettami di Mountain View per un buon posizionamento organico. Se lo dicono loro che fanno venti miliardi a trimestre di vendite pubblicitarie, prendo appunti.
Non te la prendere, ma ho sentito la pulsione di scrivere quando ho riscontrato nelle tue parole l’atteggiamento dei clienti che ho acquisito e che posso classificare tra i peggiori. Certo, dal mio punto di vista. Ma a conti fatti si è trattato dei clienti più malfidati, meno competenti, che avevano come unico, o quasi, criterio decisionale il costo del mio servizio. Perché non si erano innamorati (l’ho detto, sì) della mia storia e di me, per colpa soprattutto mia, di certo. Occorre sapere dire di no al cliente che non vedrà mai una persona, un’azienda e la sua storia dietro un “servizio”.
La capacità del venditore sta anche – forse soprattutto – nel rendere quei terribili momenti, nei quali si racconta di un’idea, dalla quale è nato il lavoro per dieci, cento o mille persone, piacevoli per un possibile cliente che non aspetta altro se non un aiuto per risolvere un problema, se non aumentare il proprio fatturato, o la propria redditività, o altro ancora. Se un cliente ti concede un elevator pitch, non è per te. Non saprà mai apprezzarti per quanto vali. Cerca solamente uno strumento, e se è capace, attraverso Google, lo troverà in rete, disponibile a pagamento o nella migliore delle ipotesi, addirittura gratis. Come diceva Alberto Sordi, mandalo a quel paese (ah, se fossi stato capace di farlo certe volte in passato). Sapesse quanta gente che ci sta…
Una noticina anche in chiusura: mi pare di capire che l’update di LinkedIn con il quale segnali il post è a firma tua, come il post stesso. E leggo nel primo che si parla del secondo come “un post che, a mio parere, TUTTI quelli che vendono dovrebbero leggere”. Per quanto il mio ego sia discretamente grande e formato, non mi permetterei mai di dare un giudizio così appassionato su quanto scrivo, dico o sono. E dire che penso di me tutto il bene possibile.