05 – parallelismi e convergenze

La geometria euclidea fu l’unica operativamente accettata per secoli e secoli, sebbene Euclide stesso e addirittura, prima di lui, Aristotele, avevano intuito alcune possibilità alternative. Che il quinto postulato “stonasse” con gli altri fu subito apparente, pur tuttavia nei secoli furono moltissimi i tentativi di sua dimostrazione. Prima in maniera diretta, e poi per assurdo.
Particolarmente celebre è la dimostrazione per assurdo di Giovanni Girolamo Saccheri, che, certo del proprio risultato, nel 1733 fece intitolare la propria opera Euclides ab omni naevo vindicatus (letteralmente “Euclide vendicato da ogni macchia”). In seguito sarà dimostrato che la dimostrazione di Saccheri era fallace, ma ebbe il merito di spianare la strada all’avvento delle geometrie non euclidee.
Nel corso del xix secolo, infatti, si resero disponibili (e utili) punti di vista alternativi, che non davano più per scontata la validità del postulato cosiddetto delle rette parallele. In maniera indipendente, il matematico russo Nikolai Lobacevskij (1892-1956) e il militare ungherese János Bolyai (1802-1860) concepirono una geometria nella quale per un punto esterno a una retta poteva passare più di una parallela. Si tratta della cosiddetta geometria iperbolica, nella quale il sistema di riferimento non è più un piano, ma un solido, quale ad esempio la pseudosfera di Beltrami, dal nome del matematico italiano Eugenio Beltrami (1836-1900) che la concepì nel 1867. Nella geometria parabolica sono possibili delle forme triangolari la cui somma degli angoli interni è minore dell’angolo piatto.
Alternativamente, il matematico tedesco Bernhard Riemann (1826-1866) ideò una geometria, detta poi ellittica, nella quale il sistema di riferimento è sferico. In questa geometria, una geodetica (ossia una retta massima, ossia una retta che è traccia sulla superficie sferica di un piano passante per il centro della sfera medesima) non ha parallele, poiché se consideriamo ad esempio una geodetica analoga ad un meridiano del globo terrestre, questa incontrerà tutte le altre geodetiche in almeno due punti, compresi gli altri meridiani (tutti i meridiani si incontrano ai poli).

Le geometrie non euclidee furono essenziali nelle formalizzazioni delle teorie fisiche di inizio del xx secolo, ivi compresa la teoria della relatività generale, poiché sono utili nella rappresentazione di uno spazio non più cartesiano (o euclideo, per l’appunto), nel quale si hanno curvature dovute alla inapplicabilità delle trasformate galileiane di spazio (e tempo). La situazione descritta da Einstein per mezzo della geometria ellittica era quella della curvatura del quadrivettore spazio-temporale in presenza di un grande campo gravitazionale, che provoca la flessione degli stessi raggi di luce.
Nella sua teoria, Einstein preferì adottare una geometria non euclidea, sicuramente più complicata, ottenendo però come risultato una formulazione più semplice; alternativamente, avrebbe potuto usare la “vecchia” geometria euclidea, formulando leggi fisiche più complicate.

05 – l’ellenismo

La durata della civiltà greca abbraccia un periodo temporale che inizia convenzionalmente nel 776 a.C. (data della prima Olimpiade) e termina nel 146 a.C. (annessione della Grecia all’Impero romano).
Il periodo di maggior rilevanza tecnico-scientifica è l’età ellenistica, periodo che va dal 323 a.C. (morte di Alessandro Magno) al 31 a.C. (battaglia di Azio, che segna la trasformazione dell’Egitto in provincia romana).
Alessandro iii, nato a Pella (Macedonia) nel 356 a.C., morto a Babilonia nel 323 a.C., fu imperatore del Regno di Macedonia dal 336 a.C. alla morte. Passò alla storia come “Magno” (dal latino magnus, grande) poiché in soli dodici anni estese il dominio macedone fino alla Valle dell’Indo, inglobando l’Impero persiano, l’Egitto, il Pakistan e l’Afghanistan.
L’ellenismo apportò notevoli sviluppi nel campo scientifico (anche se l’uso del termine “scientifico” è più propriamente utilizzabile solamente dalla fine del xvi secolo con l’introduzione del metodo scientifico da parte di Galileo Galilei); tuttavia questi sviluppi restarono allo stadio della teoria e, solo in pochi casi, furono tradotti in pratica. Anche in questi casi, spesso la finalità era puramente dimostrativa o scenica.
Come suggerisce Alexandre Koyré nel suo saggio Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione (Torino : Einaudi, 2000), e nel saggio complementare di Pierre-Maxime Schuhl Perché l’antichità classica non ha conosciuto il macchinismo, esistono alcune ragioni principali per la mancata diffusione delle macchine nella Grecia antica. L’abbondanza di mano d’opera servile a basso costo portò a un disinteresse nella ricerca di applicazioni tecniche a supporto delle attività umane; tale situazione si stratificò socialmente in un pregiudizio riguardo la tecnica e il tecnico: il tecnico era colui che sovvertiva l’ordine naturale, manifestazione terrena della divinità.
Tale attitudine al dominio della tecnica si ritrova ancora oggi in termini quali “macchinazione”: esso ha il significato di “complotto”, “inganno” ai danni di qualcuno, ed è da far risalire anche all’uso delle macchine a fini teatrali, ove la funzione di queste era, in ultima analisi, di “ingannare” gli spettatori, di far loro credere qualcosa che in realtà non esiste.
“I Greci non ambivano a mutilare quell’opera d’arte che è il mondo, mutandone il volto. E c’è in questo una convinzione giusta e bella. Da Bacone in poi, il mondo è diventato per noi un magazzino, una miniera, un fondo al quale attingiamo senza prudenza”; ecco come Koyré riassume le posizione dei Greci rispetto alla tecnica (pp. 128-9 di Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione).

Polo principale dello sviluppo teorico dell’epoca ellenistica è Alessandria d’Egitto, grazie alla presenza della dinastia greco-egizia dei Tolomei, fiorita tra il 305 e il 30 a.C., periodo grossomodo corrispondente alla durata dell’Ellenismo stesso. Il merito culturale della dinastia (in particolare di Tolomeo ii Filadelfo) fu quella di aver impiantato ad Alessandria il primo Museo (non nell’accezione moderna del termine, ma inteso come “luogo delle muse”, una sorta centro di ricerca) con adiacente una biblioteca. L’interesse dei Tolomei per la cultura si tradusse in mecenatismo, con invito ed accoglienza delle maggiori personalità letterarie e scientifiche del tempo.

La figura alla quale si deve la più potente teorizzazione (in ambito geometrico-matematico) fu Euclide (Alessandria d’Egitto 325-265 a.C.) padre della geometria che da lui prese il nome e noto come autore degli Elementi, maggiore opera sulla geometria dell’antichità. Il suo merito in realtà sta nell’aver codificato per primo le proposizioni logiche relative alla geometria, dividendole in:

– assiomi (proposizioni logiche immediatamente ratificabili, definite vere dall’evidenza):
1. cose uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro;
2. aggiungendo (quantità) uguali a (quantità) uguali le somme sono uguali;
3. sottraendo (quantità) uguali da (quantità) uguali i resti sono uguali;
4. cose che coincidono con un’altra sono uguali all’altra;
5. l’intero è maggiore della parte;

– postulati (proposizioni il cui grado di evidenza è leggermente minore dell’assioma; si tratta di assunzioni che consentono di definire in modo più operativo le verità assiomatiche):
1. un segmento di linea retta può essere disegnato unendo due punti a caso;
2. un segmento di linea retta può essere esteso indefinitamente in una linea retta;
3. dato un segmento di linea retta, un cerchio può essere disegnato usando il segmento come raggio ed uno dei suoi estremi come centro;
4. tutti gli angoli retti sono congruenti tra loro;
5. se una retta taglia altre due rette determinando dallo stesso lato angoli interni la cui somma è minore di quella di due angoli retti, prolungando le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove la somma dei due angoli è minore di due angoli retti.

Dal quinto postulato, in particolare, si deduce che “data una qualsiasi retta r ed un punto P non appartenente ad essa, è possibile tracciare per P una ed una sola retta parallela alla retta r data” (assioma di Playfair).

Galline, Avatar e resistenze, o della stereoscopia e del 3D / 1

Posto che non hanno tasche dove riporre del denaro, e tanto meno capacità prensili per portare con sé un portafoglio con il contante per pagare il biglietto del cinema, per le galline non varrebbe la pena vedere Avatar, l’osannato film di animazione le cui caratteristiche 3D sembrano porlo come pietra di paragone futura per le realizzazioni di questo tipo.
La stereoscopia si basa infatti sulla vista binoculare, che contempla una disposizione frontale degli occhi, ai quali in ogni momento arriva (quasi) la medesima immagine.
La vista binoculare è utile soprattutto per la percezione della profondità, grazie al triangolo i cui lati sono costituiti dalle due linee che uniscono gli occhi con l’oggetto osservato e dalla linea di congiunzione tra i due occhi.

Seguendo un simile principio, i Romani usavano la triangolazione per misurare distanze non note: per calcolare, ad esempio, la larghezza di un fiume, utilizzavano uno strumento detto groma, che permetteva la costruzione di triangoli rettangoli simili (ossia con angoli a uno a uno uguali). Note le lunghezze dei lati di uno dei due triangoli (quello sulla terraferma), si potevano conoscere quelle ignote del triangolo i cui lati non erano completamente percorribile. Per inciso, con la groma si possono solamente misurare gli angoli retti, o tracciare linee rette traguardandovi attraverso.
La conoscenza di tale dispositivo è fondamentale, insieme con l’aratro, per comprendere le modalità dell’antropizzazione del paesaggio compiuta dai Romani.

Tornando alla visione, il cervello degli animali (uomo compreso) con vista binoculare compie costantemente triangolazioni, che consentono la percezione delle distanze e dunque della profondità dello spazio circostante.
Le galline sopperiscono alla loro mancanza anatomica ruotando velocemente la testa per “confrontare” la visione di un occhio con quella dell’altro, ugualmente per stimare le distanze e le profondità.
La visione binoculare è stata utile ai predatori, che grazie a essa possono condurre inseguimenti stimando con ottima precisione la distanza che li separa dalla preda e le variazioni di quella. I rapaci, dal canto loro, compensano l’impossibilità della vista binoculare con diverse caratteristiche e dimensioni del sistema oculare.
Questa caratteristica della visione di alcune specie animali fu scoperta da Euclide, alla fine del iii secolo a.C., ma come in altre occasioni le scoperte scientifiche dei Greci non sfociarono in ulteriori analisi, sistematizzazioni né ricadute tecnologiche.
Non si danno particolari avanzamenti nella consocenza e nell’interpretazione del fenomeno della stereoscopia per lungo tempo; Leonardo da Vinci studiò la materia, ottenendo secondo alcuni (si veda un esempio in http://stereoscopicgioconda.blogspot.com/) una tecnica di tipo stereografico. Altri, invece (James H. Beck, Leonardo’s rules of painting, Oxford : Phaidon Press, 1979) ritengono che Leonardo abbia concluso per l’impossibilità da parte della pittura di rappresentare in modo realistico le profondità.
Nel xvi secolo Giovan Battista della Porta (1535-1615) è accreditato delle prime realizzazioni di disegni stereografici; il lemma “stéréoscopique” si deve al padre gesuita François d’Aiguillon, che nella sua opera Opticorum libri sex philosophis juxta ac mathematicis utiles , che oltre alla stereografia trattava anche delle proiezioni ortografiche, basandosi sugli studi, tra gli altri, di Christiaan Huygens.

Sarà il xix secolo a mettere maggiormente in pratica le conoscenze legate alla stereoscopia, preludendo all’utilizzo di questa a supporto della tecnica cinematografica.

(continua)