Il saggio di Carr affronta ancora un tema che sembra anticipare una teoria, che proprio negli anni attorno alla pubblicazione di Sei lezioni sulla storia vedeva la comparsa di un articolo fondamentale. Si tratta della teoria del caos (e di quella dei frattali, alla prima intimamente legata), con l’articolo di Edward N. Lorenz Deterministic non-periodic flow, apparso sul “Journal of the Atmospheric Sciences”, vol. 20, pp. 130–141 (1963). Per quanto la trattazione del problema sia non banale, il messaggio principale che ne viene, e che ben si adatta a una giustificazione del metodo storico per come definito qui sopra, è il seguente: piccole, quasi insignificanti modificazioni (propriamente, “nel continuo”) delle condizioni iniziali possono portare a mutamenti radicali (propriamente, “nel discreto”) nei risultati finali. Il naso di Cleopatra e la scimmia di re Alessandro sono esempi di questi piccoli fattori perturbanti iniziali, che hanno risultanze enormemente maggiori.
La storia è così in balía di ogni refolo di vento?
Anche qui viene in soccorso l’assunzione per la quale i fattori più importanti determinano l’andamento di fondo delle vicende storiche. Esistono variazioni indotte da nasi e scimmie, ma si tratta di “disturbi” che in realtà non mutano le correnti di lungo corso; anzi, in alcuni casi si potrebbe dire che ne facilitano l’emergere.
Secondo Carr, è pur vero che i grandi uomini hanno plasmato la storia, ma se fossero nati e vissuti in epoche o luoghi diversi, non sarebbero certo stati grandi uomini. Seguendo la definizione di Hegel, “il grande uomo è l’unico che sia in grado di esprimere la volontà del proprio tempo, di dire al proprio tempo quale sia la sua volontà, e di esaudirla”. Sempre secondo Carr, il grande uomo rappresenta forze già esistenti o che egli stesso contribuisce a suscitare con la sua sfida all’autorità esistente. Niente paura, la storia ha le idee chiare, anche se per noi non sono facilmente visibili.
Un’analogia che può forse chiarire come gli eventi singoli e le azioni dei singoli siano o di poca rilevanza, o addirittura non facciano altro che andare – o favorire – in una direzione già tracciata, è quella della valanga. Un fronte di valanga è caratterizzato da una sua instabilità, ossia è probabile che esso si stacchi e scenda verso valle. Non è però agevole sapere quando ciò avverrà, e soprattutto quale sia l’evento che provocherà il distacco. Una palla di neve lanciata a terra in un punto può non sortire alcun effetto, così come mille altre; una successiva sola, invece, può agire su di un punto, una singolarità della conformazione fisica della parete, provocando l’inizio della discesa del fronte nevoso. Ancora, il punto nel quale può si può originare tale evento non è unico, ma nessuno tra questi è noto a priori. La palla di neve non è per forza diversa dalle altre (si concede che è probabile che se è più grande, possa essere più possibile la rottura del fronte); è la sua presenza in un certo punto in un certo istante (non nel cuore dell’inverno, ma in primavera, ad esempio) a rendere l’azione di quella palla determinante.
Nell’analogia, basta sostituire all’idea di fronte della valanga un contesto storico (sociale, economico, tecnologico, religioso, ecc.) e a quella del lancio della palla di neve l’azione del singolo individuo: vi sono delle tendenze di fondo che non possono essere create dai singoli individui; questi, tuttavia, possono essere la causa scatenante di mutamenti di grande portata. Questi avevano già grande probabilità di accadere, e l’azione del singolo non ha fatto altro che dare loro il via.
Quali sono i doveri di uno storico? Il suo agire deve seguire dei dettami etici? Verrebbe da dire che, dati per assunti quelli metodologici, il loro unico dovere è la documentazione: non devono cioè, nell’opera e nell’attività dello storico, entrare attivamente principi etici o morali. Lo storico non deve giudicare ciò che racconta e descrive, pena la distorsione delle valutazioni. Ecco nuovamente la comunità degli storici (si parla sempre di quella principale; potrà sempre esistere, ad esempio, una piccola comunità di storici che supporta il negazionismo) chiamata in causa: se il singolo dà giudizi di merito, sarà essa a riportarlo nell’ambito delle conoscenze condivise.
La storia è oggetto fortemente sociale, nell’oggetto di studio e nella modalità di compimento. Fare storia è come solcare un campo prima della semina. Il terreno è sempre lo stesso, e i solchi fatti dall’uomo si assomigliano, ma non sono mai i medesimi.
(continua)