Dal 1780, quando i materiali a disposizione lo permettono, prese le mosse la vera rivoluzione energetica. Fu cosi che Papin, dopo aver inventato la pentola a pressione qualche anno prima, arrivò a mettere a punto la prima macchina a vapore degna di questo nome, capace di produrre una rilevante quantità di energia dal riscaldamento di una certa massa d’acqua.
Per il funzionamento della macchina, si deve disporre dentro il cilindro metallico un poco di acqua. Il pistone superiore è spinto verso il basso in modo da essere a contatto con l’acqua (l’aria che è nel cilindro fuoriesce da un piccolo foro lasciato nel pistone, foro che si richiude quando il pistone è sceso completamente). A questo punto si accende un focolare al di sotto del cilindro; il vapor d’acqua, vincendo la pressione atmosferica, solleva il pistone fino alla sommità del cilindro. In alto il pistone è bloccato da appositi ingranaggi per permettere di togliere il focolare con le seguenti successive conseguenze: raffreddamento del vapore, sua condensazione fino a tornare acqua, creazione del vuoto sopra la superficie dell’acqua. A questo punto si libera il pistone prima bloccato in alto.
Esso scenderà violentemente risucchiato dal vuoto. A questo punto si rimette il focolare sotto il cilindro e tutto procede di nuovo come nel ciclo precedente. La forza (il termine energia entrerà nella letteratura scientifica molto oltre, nel xix secolo) che si genera dipenderà dalle dimensioni in gioco, ed in particolare dal diametro del cilindro; sul rendimento influirà invece in modo marcato la tenuta tra pistone e cilindro.
Successivamente, grazie alle scoperte in campo termodinamico, si riuscì a sfruttare il cosiddetto “vuoto spinto” per pompare l’acqua dai pozzi o dalle miniere. Uno dei primissimi esempi di questo genere di applicazione fu la macchina di Savery del 1698.
Il vapore proveniente da una caldaia (edificio in muratura) era inviato, mediante un tubo, dentro un recipiente pieno d’acqua, con l’effetto di espellere quest’acqua verso l’alto, mediante un altro tubo. Successivamente il recipiente veniva raffreddato mediante un getto d’acqua dall’esterno. A seguito di ciò il vapore ivi presente (che aveva sostituito l’acqua precedentemente presente) condensava provocando il vuoto. In tal modo, la pressione atmosferica agente sull’acqua da sollevare in fondo al pozzo, poteva spingere quest’acqua nel recipiente vuoto (si può anche dire che il vuoto del recipiente aspirava l’acqua dal pozzo). A questo punto un nuovo getto di vapore proveniente dalla caldaia faceva defluire l’acqua verso l’alto. I recipienti presenti erano due, ed erano alternativamente riempiti e svuotati per maggiore efficienza dell’impianto. E’ chiaro che per realizzare tutto questo occorreva aprire e chiudere alternativamente rubinetti e valvole; tali operazioni venivano fatte manualmente.
Tuttavia non tutto in queste macchine andava come il progetto ideale prevedeva: la macchina sollevava l’acqua non oltre i circa 10 metri (limite torricelliano). Per risolvere tale problema Savery spinse sulla pressione, portandola alle circa 10 atmosfere (se si pensa che non vi erano valvole di sicurezza ci si rende conto che tali macchine erano delle potenziali bombe); la qual cosa, nelle previsioni teoriche, avrebbe moltiplicato per 10 il normale sollevamento ad una sola atmosfera, portandolo a circa 100 metri. Il tutto però avveniva con grande consumo di combustibile (carbone e legna), circa 20 volte quello di una normale macchina a vapore di alcuni anni dopo.
L’evoluzione successiva che sopperì alle mancanze della macchina di Savery fu la macchina di Newcomen del 1712 che, con più componenti meccaniche e una maggiore attenzione alla dispersione di energia, aveva accresciuto il rendimento con temperature più basse e una conseguente diminuzione della pericolosità.
Essa adottava cilindro e stantuffo di Papin e lavorava, contrariamente a Savery, a bassa pressione (quella atmosferica), fatto che la rendeva di molto più facile costruzione. Era poi molto affidabile per l’abilità artigiana di costruzione (dati gli standard piuttosto insoddisfacenti dell’epoca), per il fatto che Newcomen aveva esperienza di miniere e perché lavorava con un abile idraulico, Calley. Un fornello alimentava la caldaia che produceva vapore alla pressione atmosferica. Tale vapore veniva immesso dal basso nel cilindro e, aiutato dal bilanciere che manteneva inizialmente in equilibrio l’asta della pompa posta ad estremità opposta del bilanciere rispetto all’asta dello stantuffo, faceva sollevare lo stantuffo medesimo.
Appena il vapore aveva riempito il cilindro, mediante una valvola, si immetteva in esso dell’acqua fredda che originava la condensazione del vapore. In tal modo lo stantuffo precipitava verso il basso spinto dalla pressione atmosferica. Il bilanciere oscillava alternativamente da una parte e dall’altra, provocando la messa in funzione della pompa, situata a sinistra del bilanciere, che sollevava l’acqua dal basso.