Solo 6 anni dopo il primo volo del “Flyer”, avvenuto sulla spiaggia di Kitty Hawk il 17 dicembre 1903, nel 1909 Louis Blèriot, con un aeroplano mosso da un motore di 25 CV, riuscì nell’impresa di attraversare la Manica. Dieci anni dopo si sarebbe avuta la prima traversata atlantica (da Terranova all’Irlanda) da parte di Alcock e Brown. In questa fase l’aereonautica ebbe un’accelerazione anche per via dell’uso dell’aeroplano in impieghi bellici: bombardieri, caccia, cacciabombardieri, aerei da ricognizione, con diverse strutture e funzioni, sperimentarono nuove soluzioni e servirono da banco di prova per numerose innovazioni che sarebbero poi state utilizzate anche in campo civile.
Tra la metà degli anni ’20 e la metà degli anni ’30 le migliori prestazioni erano raggiunte dagli idrovolanti, in grado di ottenere record di velocità: mancavano piste geometricamente precise, sicure e abbastanza lunghe, quindi gli idroscali e gli altri specchi d’acqua costituivano un punto di partenza e di arrivo più comodo e con superfici molto vaste. Non è un caso se la prima linea italiana, la Torino-Trieste, con soste tra l’altro all’idroscalo Milano (costruito in epoca fascista) e a Venezia. Gli idrovolanti perdettero l’egemonia dell’aria già prima della Seconda guerra mondiale, surclassati dagli aeroplani “terrestri”.
Il primo motore a reazione fu sperimentato già nel 1910, da Henry Coanda. Il pioniere rumeno capì che un fluido che scorre in una certa direzione lungo un profilo curvilineo, muta il proprio andamento seguendo la forma della superficie del solido, grazie ad un gioco di attriti. L’effetto Coanda purtroppo si ritorse contro il suo scopritore: le fiamme uscite dal propulsore del velivolo avvolsero la fusoliera, alimentate dai gas di scarico del motore.
Nel 1944-45 la Germania introdusse sul campo il primo formidabile caccia a reazione, il Me-262, che era difficile da controllare ad alte velocità e, superata quella di Mach 0.86, rischiava di danneggiarsi. A metà anni ’50 la De Havilland mostrò il primo aereo commerciale a reazione, il “Comet”; la giovane scienza dei materiali non garantiva una fusoliera immune alle alte velocità, per cui l’aereo servì quasi più per i propri errori che per la propria storia di servizio.
All’inizio anni ’60 la tecnologia del volo impattò su altri versanti, come quello sociale. Pietra dello scandalo furono i tre progetti di aereo supersonico civile immaginati rispettivamente da Stati Uniti, URSS e dal binomio Francia/Regno Unito. Se quest’ultimo portò alla realizzazione del “Concorde”, che volò dal 1969 al 2003, anno del suo “pensionamento”, nel caso degli Stati Uniti fu un’azione pubblica a porre la questione del bang sonico prodotto dall’aeroplano. Se Londra e Parigi all’epoca disponevano di aeroporti sufficientemente distanti dai centri cittadini, ciò non era valido negli Stati Uniti, e il progetto, voluto sin dall’amministrazione Kennedy, fu rimesso nel cassetto. Analoga fine ebbe il progetto sovietico, abortito probabilmente per carenza di fondi e per la contemporanea decisione americana. I 20 esemplari costruiti servirono per lo più come fiore all’occhiello delle compagnie nazionali francese e inglese, che dovevano vendere i biglietti a un prezzo enorme per rientrare degli alti costi di gestione del velivolo.
Sin dall’invenzione del radar l’aviazione militare sognò l’aereo invisibile, in grado di non essere tracciato. Il principio è semplice: la superficie dell’aereo deve “spargere” l’onda radar, disperdendola quanto più possibile per evitare che rimbalzi indietro all’emittente. In alternativa, doveva essere in grado di assorbirla.
Le tecnologie stealth (tale è il nome di questa classe di velivoli), pur costosissime, non poterono dare risultati soddisfacenti almeno fino agli inizi degli anni ’80, quando nacque l’F-117 “Nighthawk”. Per ottenere un’invisibilità maggiore furono studiati metodi per ovviare alla rilevazione termica dei fumi di combustione e alla rilevazione delle emissioni elettroniche degli strumenti di bordo, oltre a impiegare materiali schermanti come il Kevlar o l’acciaio inox austenitico (essendo quest’ultimo non ferromagnetico) per diminuire la traccia radar.
Tra la metà degli anni ’20 e la metà degli anni ’30 le migliori prestazioni erano raggiunte dagli idrovolanti, in grado di ottenere record di velocità: mancavano piste geometricamente precise, sicure e abbastanza lunghe, quindi gli idroscali e gli altri specchi d’acqua costituivano un punto di partenza e di arrivo più comodo e con superfici molto vaste. Non è un caso se la prima linea italiana, la Torino-Trieste, con soste tra l’altro all’idroscalo Milano (costruito in epoca fascista) e a Venezia. Gli idrovolanti perdettero l’egemonia dell’aria già prima della Seconda guerra mondiale, surclassati dagli aeroplani “terrestri”.
Il primo motore a reazione fu sperimentato già nel 1910, da Henry Coanda. Il pioniere rumeno capì che un fluido che scorre in una certa direzione lungo un profilo curvilineo, muta il proprio andamento seguendo la forma della superficie del solido, grazie ad un gioco di attriti. L’effetto Coanda purtroppo si ritorse contro il suo scopritore: le fiamme uscite dal propulsore del velivolo avvolsero la fusoliera, alimentate dai gas di scarico del motore.
Nel 1944-45 la Germania introdusse sul campo il primo formidabile caccia a reazione, il Me-262, che era difficile da controllare ad alte velocità e, superata quella di Mach 0.86, rischiava di danneggiarsi. A metà anni ’50 la De Havilland mostrò il primo aereo commerciale a reazione, il “Comet”; la giovane scienza dei materiali non garantiva una fusoliera immune alle alte velocità, per cui l’aereo servì quasi più per i propri errori che per la propria storia di servizio.
All’inizio anni ’60 la tecnologia del volo impattò su altri versanti, come quello sociale. Pietra dello scandalo furono i tre progetti di aereo supersonico civile immaginati rispettivamente da Stati Uniti, URSS e dal binomio Francia/Regno Unito. Se quest’ultimo portò alla realizzazione del “Concorde”, che volò dal 1969 al 2003, anno del suo “pensionamento”, nel caso degli Stati Uniti fu un’azione pubblica a porre la questione del bang sonico prodotto dall’aeroplano. Se Londra e Parigi all’epoca disponevano di aeroporti sufficientemente distanti dai centri cittadini, ciò non era valido negli Stati Uniti, e il progetto, voluto sin dall’amministrazione Kennedy, fu rimesso nel cassetto. Analoga fine ebbe il progetto sovietico, abortito probabilmente per carenza di fondi e per la contemporanea decisione americana. I 20 esemplari costruiti servirono per lo più come fiore all’occhiello delle compagnie nazionali francese e inglese, che dovevano vendere i biglietti a un prezzo enorme per rientrare degli alti costi di gestione del velivolo.
Sin dall’invenzione del radar l’aviazione militare sognò l’aereo invisibile, in grado di non essere tracciato. Il principio è semplice: la superficie dell’aereo deve “spargere” l’onda radar, disperdendola quanto più possibile per evitare che rimbalzi indietro all’emittente. In alternativa, doveva essere in grado di assorbirla.
Le tecnologie stealth (tale è il nome di questa classe di velivoli), pur costosissime, non poterono dare risultati soddisfacenti almeno fino agli inizi degli anni ’80, quando nacque l’F-117 “Nighthawk”. Per ottenere un’invisibilità maggiore furono studiati metodi per ovviare alla rilevazione termica dei fumi di combustione e alla rilevazione delle emissioni elettroniche degli strumenti di bordo, oltre a impiegare materiali schermanti come il Kevlar o l’acciaio inox austenitico (essendo quest’ultimo non ferromagnetico) per diminuire la traccia radar.