Quando si parla di innovazioni e invenzioni tecnologiche, gli approcci e le teorie che ne trattano sono molto legati al periodo che analizzano; sono in altre parole molto contestuali. Per fare un esempio, parlare di innovazione o invenzione a fine xix secolo, quando la figura di Edison pare essere rappresentativa della possibilità di infinite invenzioni, quasi sempre rispondenti a un bisogno più o meno espresso, in un mondo in cui esistono molte persone perfettamente aderenti alla figura di Archimede Pitagorico. L’invenzione è manifestazione del genio, e questo modello si conferma perché le cose sembrano svolgersi in questo modo.
Un altro chiaro esempio di come le teorie siano dipendenti dalle circostanze è da riscontrarsi nelle teorie economiche, e nel loro cambiamento dopo l’11 settembre 2001, dovuto all’impossibilità di dipingere uno scenario nel quale si hanno segnali (ad esempio la pubblicazione di risultati periodici di un certo bene, commodity o altro; c’è altro in gioco, e le teorie vi si adattano in modo diverso. Le formalizzazioni teoriche, malgrado tutti i tentativi contrari, sono storiche, e pertanto hanno spesso un periodo di validità dovuto a determinate condizioni di contorno.
Sempre in ambito economico, l’invenzione è stata vista come una scatola nera, qualcosa del quale non si conosce l’interno e non si è interessati a studiarlo, del quale non importa il funzionamento, quanto l’esistenza in quanto tale: all’imprenditore è dato solo di scegliere la tecnica migliore.
Ulteriori approcci nel xx secolo che proposero una visione diversa, integrando diverse discipline per spiegare invenzione e poi innovazione.
Da non dimenticare però che, come per ogni teoria ci si riferisce ad un modello ideale, per qualsiasi teoria economica, per quanto legata alla dimensione tecnologica esistono delle assunzioni ideali di cui tener conto, e che verranno esposte di seguito.
Un primo approccio è stato quello classico, il quale portato agli estremi è fondamentalmente il “mondo delle favole”, il mondo perfetto in cui l’imprenditore mette il capitale e lascia gli uomini lavorare; è in altri termini la raffigurazione dell’andamento e del modo di comportarsi delle industrie durante almeno i primi cento anni della Rivoluzione Industriale.
Dall’approccio classico verso la meta del xix secolo si passò a quello neoclassico.
Questo considerava l’invenzione tecnologica come un fattore esogeno, cioè proveniente dal di fuori dell’ambito economico, e come tale non controllabile. L’unico compito dell’imprenditore sarebbe di scegliere la tecnologia migliore, o tutt’al più la combinazione di capitale che gli consente la massimizzazione della sua funzione profitto o soddisfazione. Subentra qui un’assunzione di cui tener conto, quella per cui la scelta viene fatta nella perfetta razionalità dell’imprenditore: l’imprenditore farebbe sempre la scelta migliore per la sua azienda. Questo vale nella maggioranza dei casi, ma possono esserci delle informazioni, dei sistemi di conoscenza, delle condizioni di mercato o delle assunzioni all’interno delle aziende per cui non sempre viene effettuata la scelta migliore.
Un esempio in questo senso: la scelta dell’Olivetti di non optare per la realizzazione di una piattaforma per personal computer, ma per i mini computer, dotati di maggiore capacità di elaborazione ma più costosi e meno largamente diffondibili, si rivelò sbagliata e determinante, soprattutto in un campo come quello informatico dove le barriere all’ingresso (i capitali necessari per l’apertura di una produzione) esistono e sono molto alte.
Sempre secondo l’approccio neoclassico, la struttura produttiva si adattava istantaneamente e totalmente alle tecniche più avanzate. Si assumeva che le scelte imprenditoriali relative alle capacità produttive ottimali fossero fatte sulla base dei prezzi dei fattori e dei prodotti all’interno di uno stato delle tecniche noto.
La produzione era ottimizzata facendo riferimento ad una curva di produzione, funzione di due parametri: il capitale e il lavoro.
In questa curva, detta di isoproduzione, in cui ogni punto corrisponde cioè ad un’uguale quantità prodotta, mentre qualsiasi combinazione di capitale e lavoro necessaria per il raggiungimento della quantità da produrre è rappresentata da ascissa e ordinata del punto.
Insieme a questa curva ne veniva usata un’altra, in questo caso una retta che indica il limite di bilancio, che indica come modificare i parametri di lavoro e capitale spendendo la stessa quantità di capitale. In altre parole, una determinata quantità di prodotto potrà essere prodotta aumentando le macchine di produzione e diminuendo gli operai o viceversa. Dunque questa curva indica il tasso di sostituzione.
Come agire per l’ottimizzazione della scelta? Soluzione del sistema è la ricerca del punto di tangenza tra la curva di produzione e il vincolo di bilancio.
Se si verifica un mutamento delle condizioni, per cui è possibile produrre le medesime quantità con una diversa curva di produzione, normalmente il limite di bilancio si abbassa, mentre l’imprenditore ne è sempre a conoscenza, per cui compie sempre la scelta migliore.
Un altro chiaro esempio di come le teorie siano dipendenti dalle circostanze è da riscontrarsi nelle teorie economiche, e nel loro cambiamento dopo l’11 settembre 2001, dovuto all’impossibilità di dipingere uno scenario nel quale si hanno segnali (ad esempio la pubblicazione di risultati periodici di un certo bene, commodity o altro; c’è altro in gioco, e le teorie vi si adattano in modo diverso. Le formalizzazioni teoriche, malgrado tutti i tentativi contrari, sono storiche, e pertanto hanno spesso un periodo di validità dovuto a determinate condizioni di contorno.
Sempre in ambito economico, l’invenzione è stata vista come una scatola nera, qualcosa del quale non si conosce l’interno e non si è interessati a studiarlo, del quale non importa il funzionamento, quanto l’esistenza in quanto tale: all’imprenditore è dato solo di scegliere la tecnica migliore.
Ulteriori approcci nel xx secolo che proposero una visione diversa, integrando diverse discipline per spiegare invenzione e poi innovazione.
Da non dimenticare però che, come per ogni teoria ci si riferisce ad un modello ideale, per qualsiasi teoria economica, per quanto legata alla dimensione tecnologica esistono delle assunzioni ideali di cui tener conto, e che verranno esposte di seguito.
Un primo approccio è stato quello classico, il quale portato agli estremi è fondamentalmente il “mondo delle favole”, il mondo perfetto in cui l’imprenditore mette il capitale e lascia gli uomini lavorare; è in altri termini la raffigurazione dell’andamento e del modo di comportarsi delle industrie durante almeno i primi cento anni della Rivoluzione Industriale.
Dall’approccio classico verso la meta del xix secolo si passò a quello neoclassico.
Questo considerava l’invenzione tecnologica come un fattore esogeno, cioè proveniente dal di fuori dell’ambito economico, e come tale non controllabile. L’unico compito dell’imprenditore sarebbe di scegliere la tecnologia migliore, o tutt’al più la combinazione di capitale che gli consente la massimizzazione della sua funzione profitto o soddisfazione. Subentra qui un’assunzione di cui tener conto, quella per cui la scelta viene fatta nella perfetta razionalità dell’imprenditore: l’imprenditore farebbe sempre la scelta migliore per la sua azienda. Questo vale nella maggioranza dei casi, ma possono esserci delle informazioni, dei sistemi di conoscenza, delle condizioni di mercato o delle assunzioni all’interno delle aziende per cui non sempre viene effettuata la scelta migliore.
Un esempio in questo senso: la scelta dell’Olivetti di non optare per la realizzazione di una piattaforma per personal computer, ma per i mini computer, dotati di maggiore capacità di elaborazione ma più costosi e meno largamente diffondibili, si rivelò sbagliata e determinante, soprattutto in un campo come quello informatico dove le barriere all’ingresso (i capitali necessari per l’apertura di una produzione) esistono e sono molto alte.
Sempre secondo l’approccio neoclassico, la struttura produttiva si adattava istantaneamente e totalmente alle tecniche più avanzate. Si assumeva che le scelte imprenditoriali relative alle capacità produttive ottimali fossero fatte sulla base dei prezzi dei fattori e dei prodotti all’interno di uno stato delle tecniche noto.
La produzione era ottimizzata facendo riferimento ad una curva di produzione, funzione di due parametri: il capitale e il lavoro.
In questa curva, detta di isoproduzione, in cui ogni punto corrisponde cioè ad un’uguale quantità prodotta, mentre qualsiasi combinazione di capitale e lavoro necessaria per il raggiungimento della quantità da produrre è rappresentata da ascissa e ordinata del punto.
Insieme a questa curva ne veniva usata un’altra, in questo caso una retta che indica il limite di bilancio, che indica come modificare i parametri di lavoro e capitale spendendo la stessa quantità di capitale. In altre parole, una determinata quantità di prodotto potrà essere prodotta aumentando le macchine di produzione e diminuendo gli operai o viceversa. Dunque questa curva indica il tasso di sostituzione.
Come agire per l’ottimizzazione della scelta? Soluzione del sistema è la ricerca del punto di tangenza tra la curva di produzione e il vincolo di bilancio.
Se si verifica un mutamento delle condizioni, per cui è possibile produrre le medesime quantità con una diversa curva di produzione, normalmente il limite di bilancio si abbassa, mentre l’imprenditore ne è sempre a conoscenza, per cui compie sempre la scelta migliore.