Da un lato, infatti, il primo corso di igiene a livello universitario, tenuto da Luigi Pagliani, fu istituito a Torino già nel 1877, e la città ospitò, prima in Italia, il terzo congresso internazionale d’igiene nel 1880, dopo quelli del 1876 a Bruxelles e del 1878 a Parigi. Il laboratorio d’igiene torinese, dopo una fase embrionale iniziata già sul finire degli anni Cinquanta, ebbe origine istituzionale il 26 ottobre 1865. Ancora, la città subalpina fu sede di ben due riviste, “L’ingegneria sanitaria” e “L’ingegnere igienista”, che nonostante il differente approccio si porranno come importanti poli di aggregazione di idee e discussione sul tema. A ciò si aggiunsero opere a stampa di vasta portata, manuali che comprendevano accezioni di “igiene” spesso piuttosto diverse: si andava infatti dal complesso di condizioni che permettono l’ottenimento ed il mantenimento dello stato di salute fisica dei cittadini, sino al più ampio insieme di requisiti che denotano la sanità in senso lato del cittadino, e quindi non solo quella meramente legata alle condizioni della sopravvivenza, ma anche quella sociale, sino a giungere a quella morale.
Da aggiungere che a Torino svolsero la propria attività figure che rimarranno tra le principali in Italia nel campo dell’igiene; tre nomi su tutti: Luigi Pagliani, Giacinto Pacchiotti e Francesco Corradini. A loro si ascrivono attività sia intellettuali sia realizzazioni all’avanguardia per il tempo, e fu proprio l’unione tra teoria e prassi che li fece emergere come modelli della figura che in questo periodo si intagliò nel panorama delle professioni: l’igienista.
Dal punto di vista pratico, anche i regolamenti igienici della capitale sabauda erano all’avanguardia, tanto che la città divenne punto di riferimento per l’organizzazione delle strutture dedicate alla salvaguardia dell’igiene: per la costituzione dei propri uffici di igiene numerose città italiane si basarono su copie dei regolamenti torinesi. Ulteriormente, il progetto di fognatura della città fu uno dei primi organicamente costituiti, datando del 1840. La fognatura sarà compiuta solo nel 1893, quando sotto l’egida della legge di Napoli la municipalità torinese prenderà finalmente la decisione a proposito del sistema da adottare per la propria canalizzazione.
Il 20 marzo 1865 è data che segna l’estensione a tutto il Regno d’Italia del regolamento sanitario in vigore nello Stato sabaudo da oltre dieci anni. Tale regolamento introduceva sostanziali cambiamenti soprattutto in relazione agli enti preposti alla direzione ed alla gestione della sanità e dell’igiene. In particolare, con la legge sanitaria erano istituite le Commissioni municipali di Sanità, che andavano a rilevare la funzione sino a quel momento svolta dalle Commissioni direttrici permanenti. Oltre a ciò, il servizio sanitario di beneficenza, controllato dalle stesse Commissioni direttrici, era posto sotto l’egida degli Uffici di igiene.
Ciò significò per le Congregazioni di carità la perdita del controllo dei fondi destinati al sostentamento dei più bisognosi; infatti ora spettava all’Ufficio d’igiene la gestione dei certificati di povertà, prima di competenza dei parroci, accusati di accordi con farmacisti, medici ed ostetrici.
Inoltre, secondo la struttura dettata dalla legge sanitaria del 1865, la Commissione municipale di sanità doveva essere composta da (da Serenella Nonnis Vigilante, Igiene pubblica e sanità municipale, in Storia di Torino, vol. 7, Umberto Levra, ed., Torino : Einaudi, 2001, p. 375):
[…] tre consiglieri comunali, due medici ed un ingegnere, nonché dal direttore dell’Ufficio d’igiene (che ricopriva l’incarico di segretario), oltreché da membri aggiunti quali gli assessori all’assistenza sanitaria ed alla polizia municipale, due professori di Medicina, uno di Chimica, uno di Veterinaria, un ingegnere ed un dottore (ambedue membri del Consiglio provinciale di sanità) […]
La figura dell’ingegnere riceveva perciò una prima legittimazione ad essere inclusa tra quelle preposte a difendere la salute dei cittadini. Questa tendenza si sarebbe consolidata successivamente, sino a far considerare da taluni l’ingegnere come la persona più indicata per applicare la scienza al servizio del benessere della collettività.
Alla legge sanitaria del 1865 avrebbe fatto seguito la legge “Sulla tutela della igiene e della sanità pubblica” n. 5849 del 22 dicembre 1888 (legge Crispi-Pagliani). Si trattava di una norma di peso teorico ben maggiore, sia poiché faceva tesoro della cosiddetta “rivoluzione batteriologica” avvenuta in quello stesso decennio, e sia perché legava in modo efficace le esigenze della popolazione alle istituzioni.
La legge si attuava con la formazione di un organismo statale centrale, la Direzione generale di sanità, che doveva farsi carico di filtrare le conoscenze scientifiche in modo tale da poter essere recepite dall’esecutivo, oltre che stendere le linee-guida dell’azione nei campi della sanità e dell’igiene nel rispetto dei vincoli di bilancio imposti dall’amministrazione statale. Discendendo nella piramide, si incontravano poi i medici provinciali, figura che doveva connettere la Direzione generale con i medici comunali, istituiti come “Ufficiali dello Stato”.
Il sistema così costituito si sarebbe fatto carico della igiene dei cittadini, ove con questo termine si volle intendere qualcosa di più ampio rispetto alla semplice nettezza della persona o dell’ambiente in cui essa vive.
La realizzazione delle opere pubbliche esulava dalla giurisdizione delle strutture create dalla nuova legge. Si può parlare di una contaminazione più teorica delle discipline “igieniche” nei confronti delle figure tecniche, in particolare degli ingegneri. L’integrazione compiuta anche e soprattutto grazie all’attività di Pagliani permise lo sdoganamento dei principi igienici che allora si andavano affermando anche all’interno della comunità dei tecnici.