Nonostante questo handicap iniziale, la città fu comunque in grado di bruciare le tappe nella formazione delle proprie strutture nel campo, sino ad essere punto di riferimento a livello europeo. Ciò fu dovuto ad una serie di fattori, tra cui di sicura importanza la costituzione della maggioranza a livello consigliare da parte della fazione liberal-progressista a partire dal 1876. Nello stesso periodo l’università torinese incontrava un concreto sviluppo per l’affidamento di cattedre a nomi già prestigiosi, o che avrebbero fatto di Torino il proprio trampolino di lancio (da Serenella Nonnis Vigilante, Igiene pubblica e sanità municipale, in Storia di Torino, vol. 7, Umberto Levra, ed., Torino : Einaudi, 2001, p. 381):
Alla vitalità dell’ateneo torinese avevano dato il via le facoltà scientifiche: nel 1861 Jakob Moleschott era stato chiamato alla cattedra di Fisiologia; nel 1879 questi veniva sostituito dal fisiologo Angelo Mosso; nel 1864 lo zoologo Filippo De Filippi aveva sviluppato le teorie di Charles Robert Darwin, suscitando inevitabili polemiche e contestazioni; nel 1873 Giulio Bizzozero aveva fondato il laboratorio di Patologia generale e introdotto l’uso del microscopio per lo studio delle piastrine del sangue; dal 1876 Cesare Lombroso aveva creato l’istituto di Medicina legale; nel 1878 Michele Lessona, autore del libro Volere è potere, ispirato alle teorie del self-help di Samuel Smiles, proseguiva l’opera di De Filippi. A partire da quell’anno veniva pure attivata la cattedra di Igiene, assegnata a Luigi Pagliani (la disciplina era precedentemente aggregata a quella di Medicina legale).
Che la discussione nel campo della sanità e dell’igiene fosse a Torino più che mai vivace è testimoniato tra l’altro dalla presenza di due riviste, nate quasi negli stessi anni: si tratta de “L’ingegneria sanitaria” e “L’ingegnere igienista”. La prima, nata nel 1890, ebbe come spiriti animatori Giacinto Pacchiotti e Francesco Corradini. “L’ingegnere igienista” nacque invece nel 1897, ma fu solamente a partire dal 1900 che poté avvalersi della spinta di due personaggi come Luigi Pagliani e Giulio Bizzozero. Entrambe confluirono poi nel 1905 a formare la “Rivista di ingegneria sanitaria”.
Gli anni Ottanta furono il decennio nel quale presero definitivamente piede le teorie di Pasteur e Koch, in virtù delle quali si può parlare di “rivoluzione batteriologica”. Esse erano un potente mezzo di spiegazione dell’origine delle malattie, e fu grazie ad esse che si poté pensare alla costituzione o all’ammodernamento delle città così da permettere alla popolazione di vivere in un ambiente che avrebbe mantenuto o condotto alla loro “sanità”.
Esperimenti condotti già negli anni precedenti sotto l’ampio cappello della statistica delle popolazioni – oppure, secondo un’espressione nata verso la fine del secolo, dell’ecografia sanitaria – avevano dimostrato il nesso causale tra condizioni di vita e sviluppo fisico ed intellettuale. Occorreva quindi costruire o ammodernare secondo i nuovi criteri, coniugando conoscenze derivanti dal campo medico con quelle tipiche della scienza ingegneristica, sino alla formazione di una nuova tipologia professionale, che avrebbe fatto parlare di sé sino a tutto il primo ventennio del xx secolo.
Pogliano (Claudio Pogliano, L’utopia igienista (1870-1920), in Franco Della Peruta, ed., Storia d’Italia. Annali. 7: Malattia e medicina, Torino : Einaudi, 1984, pp.618-19) sintetizza bene il “fervore tecnicista” del periodo:
Dall’incrocio fra medicina e ingegneria era nato un nuovo specialismo, insieme con una sotto-disciplina ed uno strato di cultori. I quali si pensavano figli dei “progressi” chimici e batteriologici da un lato, e dei nuovi ordinamenti sanitari dall’altro. All’ingegnere più che al medico sembrò affidata la vita umana, vista l’impotenza terapeutica di fronte ad ambienti malsani. La percezione dei germi aveva sfatato l’inevitabilità della malattia: restava il passo conseguente – “un’immensa compagine di studi e di applicazioni” – capace di attuare schemi preventivi. Gli ingegneri igienisti additavano scuole rigogliose già esistenti all’estero, oppure rivendicavano nazionalisticamente una primogenitura “italiana”: acquedotti e fogne della Roma antica. Non si stancarono, comunque, di volere la ratifica di un loro ingresso nella direzione della cosa pubblica, e di chiedere, per intanto, cattedre obbligatorie nelle scuole d’applicazione; oppure ancora, l’affiancarsi di un ingegnere all’ufficiale sanitario. […] Dovettero esserci, allora, gelosie di corporazione e diffidenze se in ogni loro uscita pubblica gli ingegneri sanitari sentivano il bisogno di definire una sfera propria, confinante ma non invadente il campo dell’igiene.
Agli ingegneri non mancavano le credenziali ufficiali: sin dal 1889 fu istituito presso tutte le scuole d’Applicazione un corso dimostrativo di principi d’igiene. Superato l’esame, il futuro ingegnere avrebbe potuto accedere ai concorsi indetti dalla pubblica amministrazione nel campo dell’igiene. A Torino il corso di “igiene applicata all’ingegneria” era tenuto da Pagliani, autorità riconosciuta in materia, ma comunque contestata dall’ingegner Poggi, il già ricordato progettista della fognatura milanese, che sosteneva l’inutilità di un corso che secondo lui non aggiungeva nulla a quanto già insegnato nei corsi di architettura pratica. Il volano, tuttavia, era stato messo in moto.
Il xix secolo vide il moltiplicarsi dei metodi per lo smaltimento dei rifiuti organici di origine umana e per l’attenuazione del loro potere infettivo. Il fatto che molti di questi sistemi fossero di origine francese è da ricercarsi nel tentativo di porre riparo alle spiacevoli situazioni cui dava spesso luogo la fogna parigina, costituita secondo il classico sistema del tout à l’égout, ossia dalla confluenza di tutte le acque, quelle bianche e quelle nere, in un unico canale sotterraneo. Nelle situazioni normali, grazie ad una sufficiente diluizione garantita dalle piogge, la fogna parigina permetteva il riversamento di tutto il proprio contenuto nella Senna. Tuttavia, nelle rare occasioni in cui una bassa piovosità non permetteva un’adeguata circolazione, i miasmi si diffondevano nell’aria attraverso i tombini a fianco delle strade.
Per questo motivo tali sistemi si interessavano propriamente del primo tratto della fogna, ossia quello che va dal servizio sanitario domestico sino al primo collettore, anche se in taluni casi non era presente alcuna connessione con un sistema fognario centralizzato, poiché lo spurgo era effettuato attraverso pozzi neri o per mezzo di carri che rilevavano un contenitore di varia natura destinato all’accumulo delle materie.
A giudicare dalla quantità, quindi, l’interesse principale non sembrava concentrarsi tanto sulle caratteristiche del sistema fognario nel suo complesso, quanto sul metodo più razionale ed igienico per provvedere allo smaltimento delle deiezioni nelle vicinanze delle abitazioni. In sede di dibattito, però, sarà proprio l’opposizione tra “monocanalisti” e “bicanalisti”, secondo le definizioni introdotte dallo stesso Giacinto Pacchiotti, a tenere banco per diversi anni, con plurimi cambiamenti di rotta che avrebbero portato ad una decisione definitiva solamente nel 1893, ultimo anno utile per usufruire delle agevolazioni della cosiddetta “legge di Napoli”.