Il diodo si basa su di una osservazione di Thomas Alva Edison, che nel 1877 rilevò la presenza di fuliggine all’interno del bulbo di una lampadina. Sin dalle prime sperimentazioni si era capito che un modo per prolungare la vita dei filamenti era di sigillarli in atmosfera povera di ossigeno, quindi in condizione di vuoto il più possibile spinto. Per questo motivo la fuliggine non poteva provenire dall’esterno del bulbo, ma da qualche sorgente interna alla lampadina. Edison eseguì allora dei test, collocando all’interno del bulbo una lamina metallica, e connettendola con il circuito della lampadina, secondo una configurazione variabile.
Nell’esperimento, la lampadina è connessa in entrambi i casi all’alimentazione; nel circuito di sinistra l’elemento metallico all’interno del bulbo è connesso al polo positivo, mentre in quello di destra lo è al polo negativo. Il riscaldamento del filamento produce elettroni (particelle elementari di segno negativo), attratti dal polo positivo e respinti da quello negativo. Nel circuito di sinistra gli elettroni fluiscono così verso l’elemento metallico polarizzato positivamente, dando luogo a un circuito chiuso; nel circuito di destra, gli elettroni, pur prodotti per riscaldamento del filamento, non fluiscono verso l’elemento, che in questo caso è polarizzato negativamente, e li respinge.
La corrente del circuito di sinistra fu rilevata per mezzo di un galvanometro, rappresentato nei circuiti dal cerchio con la freccia all’interno.
Edison immaginò l’invenzione come destinata alla misura di correnti variabili all’interno di un circuito, e al più all’apertura o alla chiusura di un circuito per mezzo dell’ago di un galvanometro ad essa collegato. L’ago, muovendosi per effetto della variazione di corrente, chiudeva o apriva un circuito, fungendo da interruttore.
Avere a disposizione una corrente continua permetteva l’integrazione del segnale, ossia la sua accumulazione, a mezzo di condensatori. Il segnale ricevuto era di bassissima potenza, e il suo accumulo e successivo rilascio ne consentivano l’ascolto in cuffia a mezzo di un ricevitore di tipo telefonico. Ciò permise il passaggio dalla trasmissione di tipo booleano (segnale / assenza di segnale) a una modulazione delle onde: era nata la radiotelefonia.
La valvola funzionava come raddrizzatore, e svolgeva sufficientemente bene questa funzione sia alle basse frequenze della rete elettrica ordinaria, sia a quelle alte proprie della trasmissione senza fili. A maggiore corrente in ingresso nel circuito corrispondeva un suono di frequenza maggiore; così, a corrente minore corrispondeva un suono di frequenza minore in uscita dal telefono.
Il primo passo verso il computer moderno fu fatto tra il 1939 e il 1944 con il Mark I. Si trattava di un calcolatore elettromeccanico a relè costruito presso l’università di Harvard sotto la guida di Howard M. Aiken e con la collaborazione dell’IBM. La macchina misurava 17 metri di lunghezza, 1 metro e 80 di altezza e conteneva 800.000 componenti e 80 km di fili. Essa era ancora lenta poiché funzionava con i relè in uso nelle centrali telefoniche.
Nel 1943 l’esercito degli USA affidò all’università della Pennsylvania la realizzazione di un calcolatore digitale. L’ENIAC (Electronic Integrator And Computer), proponeva innovazioni nell’hardware con l’uso delle valvole, ma soprattutto quella portata dal software. L’uso delle valvole produsse un incremento della velocità fra le 500 e le 1000 unità rispetto al Mark I, ma le dimensioni erano ancora mastodontiche: 30 tonnellate di peso su una superficie di 150 mq e 18.000 valvole all’interno con altissimi consumi (150 kilowatt) e dispersioni di calore.
L’aspetto fondamentale comunque era il software: l’ENIAC fu uno dei primi computer programmabili, predisposto di volta in volta a differenti funzioni; la programmazione avveniva attraverso la sostituzione di cavi e per questo serviva personale altamente specializzato. Il calcolatore fu utilizzato presso il centro di ricerche balistiche di Aberdeen per calcoli di previsioni meteorologiche, progettazione di gallerie del vento, studio dei raggi cosmici ed elaborazione di tavole balistiche.
I progettisti furono l’ingegnere John Prespert Eckert e il fisico John William Mauchly, con la collaborazione del matematico Herman H. Goldstine.