Prima ancora che rivoluzionario nei numeri, il periodo vide un cambiamento del modo di produzione, locuzione che indica il complesso delle modalità di detenzione dei mezzi di produzione, dei rapporti tra gli individui, degli schemi di ridistribuzione dei ricavi e dei profitti. Nel xviii secolo in Inghilterra si assistette al sorgere del modo di produzione capitalistico, pressoché coincidente con l’avvento del sistema di fabbrica, nel quale si avevano alcune nuove condizioni:
– la produzione è accentrata in un singolo luogo, detto fabbrica, nel quale sono collocati i mezzi di produzione, sempre più grandi e sempre più difficilmente acquistabili dai privati e installabili presso le abitazioni private;
– i mezzi di produzione sono detenuti dall’imprenditore, che si fa carico di tutti gli investimenti iniziali, e che beneficia degli utili in modo quasi totale;
– i lavoratori non possiedono nulla, e sono remunerati con un salario.
Il modo di produzione capitalistico non cancella gli altri precedenti, che rimangono in vita ove le condizioni non facciano pendere per l’opportunità di scegliere il sistema di fabbrica.
L’espressione “rivoluzione industriale” fu utilizzata per la prima volta dallo storico dell’economia francese Jérôme-Adolphe Blanqui nella sua Histoire de l’économie politique en Europe depuis les Anciens jusqu’à nos jours (1837); la locuzione fu però utilizzata appieno solo dopo la pubblicazione postuma delle Lectures on the Industrial Revolution of the Eighteenth Century in England (1884) dello storico inglese Arnold Toynbee.
Sino alla prima metà del xix secolo fu considerata un evento epocale, senza precedenti sia per il tipo di cambiamento (che introduceva un modo di produzione completamente nuovo) sia per l’entità del medesimo (considerando soprattutto le quantità prodotte). Verso la metà del xx secolo questa posizione fu valutata con un certo criticismo, e si mise in dubbio il carattere “rivoluzionario” dei cambiamenti avvenuti in Inghilterra attorno alla metà del xviii del secolo, ad esempio analizzando i tassi di crescita delle produttività.
Resta il fatto che, a prescindere dalle analisi numeriche, si ha una rivoluzione nella modalità operativa, con due macchine che entrano prepotentemente nella produzione: l’orologio, simbolo dell’organizzazione implementata nelle fabbriche, e la macchina a vapore, che mise a disposizione una potenza mai vista prima, oltre a permettere la delocalizzazione dei siti produttivi rispetto ai corsi d’acqua.
Gli storici hanno poi evidenziato diversi aspetti connotabili come rivoluzionari, mettendo l’accento su aspetti organizzativi, sociali, etici, tecnologici ed economici. Ecco alcune posizioni.
Secondo lo storico dell’economia Carlo Cipolla (1965) si ha un radicale cambio di scelta delle fonti energetiche, e conseguentemente forme di energia crescenti per densità di potenza. Lo storico americano Joel Mokyr (1990) parla invece di una pluralità di cambiamenti che portano a parlare di rivoluzione, tante piccole e singole novità, nella loro pluralità generano l’innovazione.
Ronald Mc Closkey (1981) individua nella rivoluzione industriale l’età del cambiamento; il suo è un approccio positivistico alla realtà industriale nascente. L’attitudine al mutamento, al cambiamento si fa sempre più familiare, viene sistematizzato il cambiamento.
E. A. Wrigley (1987) considera come cruciale la sostituzione delle sostanze minerali in luogo di quelle vegetali o animali.
Il modello di Robert C. Allen (2009) vede come punto di partenza il successo dell’Inghilterra nel commercio internazionale. E’ questo, secondo lo storico americano, il fattore scatenante, grazie al quale, in concomitanza con altri fattori strutturali, si determinarono:
– alti salari;
– basso costo dell’energia.
In questo quadro si innescò la Rivoluzione industriale attraverso:
– un innalzamento della domanda di tecnologia labour saving: proprio per la presenza degli alti salari, era particolarmente conveniente sostituire il capitale umano con le macchine;
– la sostituzione del lavoro con un uso intenso di energia e capitali (accumulati nell’agricoltura).
Una simile situazione creò terreno fertile per le innovazioni, e la rivoluzione industriale si verificò in Inghilterra perché in altri paesi (anzitutto Francia e Germania) non c’era la combinazione “ottimale” dei costi di lavoro ed energia. Quando tale combinazione si verificò al di fuori dell’Inghilterra, la rivoluzione industriale si estese ovunque.