Vademecum del bravo lettore

Da una notte all’altra: Passeggiando tra i libri in attesa dell’alba

di Carlo Fruttero

Recensione di Da una notte all’altra: Passeggiando tra i libri in attesa dell’alba, di Carlo Fruttero, Milano : Mondadori, 2015
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“Difficile trovare qualcuno che possa, come Carlo Fruttero, parlare di letteratura in modo così leggero e allo stesso tempo così preciso. I 31 titoli effettivamente analizzati sui 100 previsti (Fruttero è scomparso prima di portare a termine il libro) sono una selezione parziale e comunque significativa della narrativa mondiale e italiana, da Tucidide a Cervantes, e di lì passando per Voltaire, Constant con Adolphe, ma anche I promessi sposi, Pinocchio, per arrivare al Guareschi di Don Camillo, al Calvino de Il barone rampante e al Levi di Se questo è un uomo. Talvolta la sveltezza del testo ricorda quella di Incipit, che ormai vent’anni fa Fruttero scrisse con l’altra metà della “Ditta”, Franco Lucentini. Mentre la disposizione senza ordine percepibile dei titoli è invece manifestazione del filo conduttore dato dall’autore stesso, a confermare che, almeno in letteratura, tout se tient. Un vademecum di sicuro valore per non perdersi nel mare delle pubblicazioni che tra cinque anni nessuno ricorderà più.

fosforo per memorie arrugginite

un uomo bruciato vivo

di Dario Fo

Recensione di Un uomo bruciato vivo: Storia di Ion Cazacu, di Dario Fo, Milano : Chiarelettere, 2015
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Il testo di Dario Fo ha due valenze, parzialmente sovrapposte. La prima è di ricordare la storia di Ion Cazacu, il piastrellista rumeno bruciato vivo dal proprio datore di lavoro (il termine assume qui un significato appena macabro) nel 2000, come simbolo degli sfruttamenti piccoli e grandi ai quali sono sottoposti i lavoratori, non solo dell’edilizia, ma di qualsiasi settore.
Il secondo sta proprio nella valenza del ricordo. Un paese la cui memoria politica è – si dice- attorno ai sei mesi è un paese nel quale la libertà si autolimita. L’ampliamento della memoria (non solo di quella politica, si intende) è funzionale a orientarsi in un mondo complesso, per dare appoggi e forza alle proprie opinioni. Oltre al merito per aver risollevato la questione, Fo si prende anche quello di farlo senza retorica, trappola nella quale era facile cadere, e che invece il premio Nobel evita come suo solito. Da leggere non per dovere morale ma per farsi del bene.

E vissero quasi sempre abbastanza felici e contenti

Fiabe e storie

di Hans Christian Andersen

Recensione di Fiabe e storie di Hans Christian Andersen, Milano : Feltrinelli, 2014
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Dalle fiabe e dai racconti di Andersen non bisogna aspettarsi due cose: che siano a lieto fine, e che siano pensate per i bambini. I racconti sono ricchi di personaggi dalla cattiveria quasi perfetta, luciferina, mentre altri fanno della dabbenaggine il loro segno distintivo; altri ancora brillano per bontà. Ovvio che in particolare con i primi ci si possano aspettare finali diversi dal classico “e vissero felici e contenti”: è il caso del racconto del bambino cattivo, di quello del collo di bottiglia, di quello celebre dei vestiti nuovi dell’imperatore e di numerosi altri.

A volte anche le morali non sono proprio facili da cogliere; in altri casi sono evidentissime. E se alcune volte le realtà raccontate sono molto distanti, non solo nel tempo, ma anche nei modi, dal nostro modo di pensare, in altre sembrano pensate ieri. Non è difficile intravedere alcune storie come fonte di ispirazione per un comico senza tempo come Roberto Benigni, che ad esempio nella caratterizzazione del personaggio del “piccolo diavolo” deve aver avuto ben presente l’immaginario fiabesco di Andersen, addirittura negli spunti comici.
Lettura consigliatissima soprattutto ai grandi, ma anche ai piccoli, sebbene sia in questo caso necessaria una selezione preventiva delle storie da parte dei primi.

Periodo ipotetico

Un’ombra più bianca del pallido

di Michele Giocondi

Recensione di Un’ombra più bianca del pallido di Michele Giocondi, Firenze : GoWare, 2014
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Sin da principio Un’ombra più bianca del pallido parrebbe opera scritta da un APS, che nella definizione de Il pendolo di Foucault è il cosiddetto “autore a proprie spese”. In altri termini, colui che, magari al termine di una professione ben condotta in altri campi, ha l’ambizione di vederla coronata dall’opera letteraria che lo renderebbe immortale, o almeno “riconosciuto dai vicini, dagli abitanti del quartiere, e di quello dove ha abitato prima”.
Questo spiegherebbe gli aggettivi, che quando va bene sono quelli che ti aspetti da un paio di righe, mentre quando va meno bene sono iperbolici (i capelli sono ovviamente “argentati”, la brasiliana è “splendida”, i piatti sono “succulenti” addirittura in un dialogo, per arrivare al “vago cenno di assenso”); i dialoghi, al cui confronto quelli del tenente Colombo sembrano scritti da Calvino; la caratterizzazione linguistica della “splendida brasiliana”, che pare essere di madrelingua spagnola; gli anacoluti che subito sembrano una strizzata d’occhio a un linguaggio da semicolti ma che non hanno alcuna carica ironica (“accedere in un appartamento” non è costrutto valido, mai; e se proprio vogliamo sottilizzare, i numeri non si scrivono in cifre, in un testo letterario, per cui “6 uomini a ogni turno” non è corretto, ma è il meno); l’incipit, che sarebbe potuta essere la frase messa in bocca da Luciano Salce alla maestrina di Pierino tanto per farle dire qualcosa di “letterario” (“Il sole pallido illuminava debolmente i tetti delle città”); il finale, che dire confuso è eufemismo.
Per questi motivi Giocondi, se fosse APS, meriterebbe uno spazio nel Dizionario degli italiani illustri (l’idea è presa dal Pendolo), che lo inserirebbe probabilmente in questa sequenza:
GIOBERTI Vincenzo (Torino, 1801 – Parigi, 1852). Presbitero e politico, conosciuto perloppiù per il Primato morale e civile degli italiani. GIOCONDI Michele (Firenze, 1951). Educatore, massimamente nelle scuole superiori, per il cui cursus ha firmato manuali di storia di grande fama. La sua figura giganteggia nella letteratura italiana del nostro secolo. Il Giocondi si è rivelato sin dal 2014 con Un’ombra più bianca del pallido, primo volume di una eptalogia di ampio respiro la cui pubblicazione definitiva è già oggetto del desiderio del pubblico tutto. GIOIA Melchiorre (Piacenza, 1767 – Milano, 1829). Massone, autore del Nuovo Galateo.
Ovviamente la speranza è che sia tutto una congettura. In special modo l’eptalogia.

L’imperfetto di troppo

L’invisibile

di Pontus Ljunghill

Recensione di L’invisibile di Pontus Ljunghill, Milano : Guanda, 2014
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Chirurgico. Si addice alle atmosfere svedesi che tratteggia. Mai una parola di troppo, un tecnicissimo lavoro di cesello che si percepisce, e renderebbe la lettura un impegno gradevole, ossia un piacere. Peccato che per arrivare al cuore della storia occorra farsi strada in una selva di passati remoti e di imperfetti che introducono e diluiscono i precedenti in una sospensione che, come direbbe Paolo Conte è simile a “una nebbia che sembra di essere dentro a un bicchiere di acqua e anice”. Che può pure piacere, per carità.
Da Ljunghill non si pretende un calore sudamericano, ma il suo misuratissimo stile (si badi, è un esagerazione per dare forza all’idea) è più simile a quello di un bugiardino che a quello di un romanzo. Peccato, perché l’impianto del testo funziona, e l’autore ha belle intuizioni sceniche. Guardando verso Nord c’è di molto meglio (anche nella stessa “offerta lampo” di oggi).

Né carne né pesce

Dall’idea alla pagina

di Guido Conti

Recensione di Dall’idea alla pagina di Guido Conti, Milano : Corriere della Sera, 2014
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L’idea alla base è chiara: poiché di Nathaniel Hawthorne furono pubblicati postumi alcuni taccuini, nei quali lo scrittore americano metteva giù idee iniziali, pensieri legati al proprio modo di scrivere e di approcciare le storie, queste indicazioni possono essere utilizzate come “consigli per un aspirante scrittore”. Questi potrà partire dall’appunto del taccuino, per ragionare su suoi possibili sviluppi, e vedere come realmente l’autore abbia convertito il pensiero di un istante in letteratura.
Peccato che Conti oscilli tra un approccio tecnico alla scrittura, ciò che in effetti ci si potrebbe attendere da un manualetto di questo tipo, e una lettura della poetica dell’autore, un’esegesi che è tanto utile quanto lo è un volume sulla storia dell’elettricità quando si deve realizzare un impianto elettrico casalingo.
Questo libretto mostra ancora una volta come il tema della scrittura creativa sia di difficile approccio. Vivamente consigliato, come alternativa, Consigli a un giovane scrittore di Cerami.

Dove l’errore è la regola

¡Tu la pagaras!

di Marilù Oliva

Recensione di ¡Tu la pagaras! di Marilù Oliva, Roma : Elliot, 2014
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Decisamente Marilù Oliva preferisce le virgole ai punti. Non che non usi anche questi, ma cerca la velocità, il ritmo delle descrizioni e dei dialoghi. E congegna un noir misto padano-sudamericano che sa tanto di molte città di provincia italiane, dove c’è sempre qualcosa di sbagliato: sia la temperatura del fetido garage dove lavora la protagonista, la Guerrera, sia la nazionalità del Cubano, che tutto è meno che caraibico, sia l’età delle donne della storia, che non stanno in pace con i propri anni, sia i ruoli di un dipendente e di un datore di lavoro, che non sempre sono tali, sia le mancate avance di un ispettore (capo) di polizia che non sa manifestarsi al momento buono.
Proprio la figura del poliziotto è quella a pagare una minore profondità, mentre il romanzo nel suo complesso risente di qualche debolezza strutturale, come la comparsa in scena (nella mente del poliziotto) dell’arma del primo omicidio della storia. Ma ¡Tu la pagaras! si legge bene, è scritto da chi ha voglia di scrivere, e questa cosa si percepisce. Tre stelle perché le magagne di queste pagine saranno sanate in altre, come Mala suerte, che per chi non sia feticista delle trilogie, di cui ¡Tu la pagaras! è la prima, Mala suerte la terza parte, è opera di certo migliore.

La fine e l’inizio

Peep show

di Federico Baccomo

Recensione di Peep show di Federico Baccomo, Venezia : Marsilio, 2014
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La seconda di copertina cita Andy Warhol e la sua celebre affermazione sui quindici minuti di celebrità che ognuno può avere grazie ai mass media moderni. Federico Baccomo mostra invece come l’asticella per ottenere quel quarto d’ora si sia alzata. Ne è l’esempio il protagonista, Nicola Presci, che dopo una sfortunata partecipazione al Grande Fratello passa da mezza celebrità ad autista. Salvo poi riguadagnarsi le luci della ribalta, in modo tanto involontario quanto fulmineo.
Lo stile di Baccomo è rapido, eppure preciso; i personaggi sono tratteggiati attingendo un po’ a stereotipi, ma la scelta è funzionale alla velocità delle scene, che si susseguono facendo volutamente perdere, per poco, i riferimenti al lettore. La sospensione liquida nella quale si trova il protagonista è il risultato stilistico di maggior pregio delle pagine.
A volte l’autore strizza in modo forse eccessivo l’occhio al lettore, distruggendo in modo quasi gratuito l’immagine di qualche personaggio famoso, e mostrando così le brutture dello “star system”. Questa forse l’unica pecca di un libro che altrimenti mescola bene dialoghi vivi ad altrettanto vivi monologhi interiori, all’interno di una trama lineare ma non scontata.

Pochi mancini e molti comunisti

calciatori di sinistra

di Quique Peinado

Recensione di Calciatori di sinistra, di Quique Peinado, Milano : ISBN, 2014
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I ritratti di Peinado presenti in questo libro beneficiano del grande approfondimento del loro autore, che pesca notizie originali, fresche pur trattando di episodi anche di diversi decenni fa. L’ultimo capitolo, quello dedicato Sócrates, è molto intenso, e scava in profondità nelle passioni dell’ex-centrocampista brasiliano. I capitoli precedenti non sono male, e formano una carrellata volutamente disomogenea di calciatori di sinistra: tra questi tedeschi maoisti, argentini pasionari e italiani legatissmi alla propria città.
Non conosco la versione originale, ma in quella italiana a penalizzare le pagine di Peinado è il suo periodare pesante, involuto, di leggibilità quantomeno variabile. Solo chi si fa pesantemente prendere dal libro può seguire in modo completo le storie raccontate dal giornalista e comico (non è presentato come tale nell’edizione italiana: il calcio da noi è ben più sacro) madrileno.
Se si vuole leggere di calcio un po’ dentro e un po’ fuori dal campo rimane preferibile un altro giornalista di sinistra, l’inimitabile Osvaldo Soriano, di cui consiglio Fútbol. Storie di calcio.

Nulla di nuovo sotto il sole torinese

Il giro di Torino in 501 luoghi

di Laura Fezia

Recensione di Il giro di Torino in 501 luoghi di Laura Fezia, Milano : Newton Compton, 2014
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Che nella bibliografia del libro appaiano citati tre (!) saggi di Peter Kolosimo (torinese di adozione, sì, ma soprattutto ufologo) conferma come Laura Fezia, nonostante le buone intenzioni della premessa, dove afferma di voler guardare alla città con occhi non legati ai soliti schemi, peschi nel trito bacino delle leggende di cui Torino è ben fornita. Benissimo, per coloro che sono interessati a questo taglio. Un po’ meno per coloro che si aspettano una semplice (è veramente troppo chiederla?) descrizione della città nei suoi luoghi caratteristici. Eppure ce ne sarebbe da dire.
Stando alla sola architettura della città, e non parlando di quello che manca, ma di quello che almeno parzialmente c’è nel testo, l’autrice argomenta in lungo e in largo di sotterranei (misterici per definizione), ma quando parla di piazza Emanuele Filiberto si ferma in superficie, riferendo appena delle opere sotterranee che invece la rendono unica. Cita la Cittadella, ma non dà prova di conoscerne né la tecnica costruttiva né la finalità precisa. Parla di architetti e non cita Vauban, che definì Torino come la città con la migliore collocazione strategica al mondo. Fa riferimento al _Theatrum Sabaudiae_ senza dire che cosa sia l’opera e come fosse il “portfolio” di casa Savoia nel Seicento. Definisce canonicamente “salotto buono” piazza San Carlo, ma forse non sa che era la piazza delle parate militari. Azzecca la collocazione di due lati dell’antico quadrato romano (non male), ma sbaglia quella degli altri due (le mura non arrivavano all’attuale corso Regina Margherita, né tantomeno fino a corso Valdocco). Eccetera.