Marey fece pure esperimenti con gli uccelli perché era convinto di poter riprodurre il volo animale studiandone minuziosamente le movenze con l’aiuto della nascente fotografia (i primi dagherrotipi funzionanti sono degli anni ’30).
Nel 1871 Alphonse Penaud esibì il suo modellino di aeroplano, il planophore, in grado di volare per 60 metri con la sola propulsione data da un’elica ad elastico. La dimostrazione data di fronte alla Société Française de Navigation Aérienne convinse moltissimo, ma Penaud morì a soli 30 anni nel 1880, prima di aver portato avanti il proprio progetto come avrebbe voluto. Egli enunciò pure tre dei principali problemi che stavano alla base della navigazione aerea, e che già in qualche modo Sir George Cayley aveva sviscerato: resistenza dell’aria, resistenza della macchina e leggerezza del motore.
Il “giocattolino” di Penaud andò a finire in mano ai fratelli Orville e Wilbur Wright, figli di un pastore protestante che per motivi legati alla propria missione doveva spostarsi sovente, e che donò loro, di ritorno da un viaggio, un esemplare di planophore.
I fratelli Wright sfruttarono i contributi teorici di Lilienthal e i suoi tabulati per dimensionare le proporzioni dell’ala. Inoltre, Wilbur escogitò un sistema di tiranti (metallici e in legno) in grado di modificare le geometrie dell’ala biplana, in modo che la torsione risultante facesse ruotare in senso positivo un’estremità dell’ala, in senso negativo l’altra: così facendo, il mezzo poteva virare a destra o a sinistra.
Così insistettero su questa strada, che terminò, però, con l’esperimento fallimentare dell’anno 1900: il volo dell’aliante costruito dai fratelli si schiantò al suolo. Wilbur si perse d’animo, non riuscendo a trovare il bandolo della matassa, ed era deciso ad abbandonare i progetti, finché un ingegnere ferroviario “prestato” all’aeronautica, un certo Chanute, non li convinse a presentare presso un convegno a Chicago i risultati da loro ottenuti sino a quel momento.
Gratificati dai consensi ottenuti, gli Wright si rimisero al lavoro, iniziando un’analisi più approfondita del problema, che per stessa ammissione di Wilbur Wright poteva essere inquadrato in questi termini:
E’ sembrato tristemente carente nella forza di sostentamento [oggi diremmo portanza] rispetto a quella calcolata per superfici di quella dimensione. Abbiamo supposto che questa mancanza possa essere dovuta a una o più tra le seguenti cause: (1) che la profondità della curvatura delle nostre superfici fosse insufficiente, essendo soltanto nel rapporto di 1/22 anziché di 1/12. (2) che il tessuto usato per le nostre ali non fosse sufficientemente ermetico, e lasciasse passare aria. (3) che le tavole di Lilienthal fossero in qualche modo esse stesse in errore.
Le ipotesi trovarono conferma nell’ultima opzione, in quanto i fratelli provarono sperimentalmente che i parametri indicati da Lilienthal nelle sue tabelle (larghezza, altezza, profondità di curvatura, ecc.) erano errati.
All’epoca i due producevano e riparavano biciclette, così Wilbur ne utilizzò proprio una per condurre un esperimento, ponendo un cerchione, in posizione orizzontale e libero di ruotare, nella parte anteriore della bicicletta. Sul cerchione erano fissate perifericamente due profili: uno rettangolare a costituire la resistenza, e un profilo alare che doveva generare una portanza opposta alla resistenza. Lanciata la bicicletta in discesa, così da lasciare il guidatore libero dal dover pedalare, una volta raggiunta una velocità minima (una trentina di chilometri orari) necessaria per creare un sufficiente effetto portanza, il guidatore della bicicletta, che sino a quel momento aveva mantenuto bloccata la ruota orizzontale posta di fronte a sé, la lasciava libera, permettendone la rotazione. Secondo i calcoli che Otto Lilienthal aveva presentato nelle proprie tavole, per un certo valore di incidenza del profilo alare (ossia per un certo valore angolare di disallineamento del profilo rispetto alla direzione di marcia), la portanza originata da questo doveva essere perfettamente controbilanciata dalla resistenza generata dall’elemento rettangolare e dallo stesso profilo alare.
Successivamente, con una galleria del vento e due bilance di torsione a molla appositamente progettate, gli Wright poterono ulteriormente verificare che le tavole di Lilienthal erano effettivamente sbagliate, ma non per causa dell’imperizia del veleggiatore tedesco; l’errore risiedeva nel valore abbondantemente errato di un coefficiente, detto di Smeaton dal nome dello scienziato (John Smeaton, 1724-1792) che lo formalizzò, utilizzato in fluidodinamica per la determinazione delle forze, così come da Lilienthal nei calcoli per la redazione delle proprie tavole.
Nel dicembre 1903 fece la sua apparizione il “Flyer”. Disponeva di comandi di direzione, pattini per lo scivolamento a terra, motore leggero ed eliche perfezionate; ulteriormente, poneva il pilota in mezzo ai piani alari, non obbligandolo a rimanere “appeso” per comandare gli spostamenti laterali del velivolo, a differenza della maggior parte degli alianti progettati sino a quel periodo.